Si è concluso alle 12.34 di ieri l’incubo carcerario di Fabio Vettorel. Alla conclusione dell’ennesima udienza del processo a carico del diciottenne bellunese per le manifestazioni contro il G20 del luglio scorso ad Amburgo, dopo l’ennesima inconsistente testimonianza di un poliziotto, gli agenti penitenziari, che abitualmente lo riaccompagnavano in manette alla prigione minorile di Hanofersand, si sono ritirati. E Fabio ha potuto riabbracciare la madre e le decine di attiviste e attivisti tedeschi che lo attendevano fra il pubblico in aula e all’esterno dell’Amtsgericht di Altona.

Il rilascio avviene dopo dieci giorni di surreali rimpalli tra la corte che lo sta giudicando, gli uffici della Procura e le istanze d’appello. La pubblica accusa si era strenuamente opposta, più volte e in tutti i possibili gradi di giudizio, alla decisione del Tribunale di Amburgo che il 16 novembre scorso aveva accolto la richiesta della difesa di procedere alla rimessa in libertà dello studente-lavoratore di Feltre. La battaglia legale è arrivata fino alla Corte federale di giustizia (equivalente della nostra Cassazione) a Karlsruhe, che solo venerdì pomeriggio si era pronunciata a favore della scarcerazione, rigettando in via definitiva i ricorsi della Procura.

Fino all’ultimo sono stati frapposti cavillosi ostacoli burocratici, come la richiesta che la (già gravosa) cifra di 10.000 euro di cauzione fosse personalmente versata da Fabio e non dai suoi familiari. Del resto, fino alla conclusione del dibattimento, prevista metà febbraio 2018, il giovane sarà sottoposto a pesanti limitazioni della libertà personale, con il vincolo di risiedere ad Amburgo e l’obbligo di presentarsi giornalmente presso un commissariato di polizia per la firma.
Queste intanto sono ore di festeggiamenti. E di riflessioni sul profilo kafkiano della vicenda. «L’attesa è finita – ha dichiarato Emily Laquer, portavoce della iL e della piattaforma StopG20 – L’ingiustizia commessa nei suoi confronti dovrebbe essere di monito per tutti noi. C’è una parola che dovremmo meglio apprendere: solidarietà».

Gli oltre 140 giorni trascorsi in carcere da Fabio Vettorel, la cui unica colpa è stata quella di essersi recato ad Amburgo per partecipare, insieme a decine di migliaia di altri, alle proteste contro il G20, sono apparsi fin dall’inizio una mirata vendetta di Stato nei confronti del significato e del successo di quelle mobilitazioni, capaci di denunciare il ruolo dei «potenti della Terra» nelle crescenti ingiustizie sociali, nella crisi ecologica, nello sfruttamento delle persone e dei beni comuni.

Una vendetta condotta con determinazione politica e accanimento giudiziario, in spregio a diversi principi e regole dello «stato di diritto». In Germania è stata denunciata da mobilitazioni di movimento, dai deputati della Linke e da numerose voci degli stessi media mainstream. In Italia ha visto la presentazione di svariate interrogazioni parlamentari, da Sinistra Italiana al Pd e 5S, gli interventi dei Giuristi Democratici e di Amnesty, oltreché un tardivo interessamento della «grande stampa» e il vergognoso silenzio del Governo nazionale.

Tuttavia, come Fabio ha scritto nella coraggiosa dichiarazione spontanea pronunciata durante il processo, «nessun tribunale potrà fermare la nostra sete di libertà, la nostra volontà di costruire un mondo migliore».