Il test di Bechdel è semplice. Un film deve presentare almeno due donne di cui si conosce il nome che parlano fra di loro di un argomento che non tratta di uomini. Pubblicate come parte di un fumetto di Alison Bechdel nel 1985, le regole sono state poi applicate ad un sacco di film, e anche se qualche film femminista è fallito, il test è diventato uno strumento importante per rivelare come molto spesso le donne siano invisibili in un gran numero di film. Dei nove film candidati all’Oscar come miglior film solo due passano il test. Nemmeno La La Land lo fa. E siamo nel 2017. L’esistenza del test di Bechdel – nonostante il fatto che non è perfetto – significa che almeno il problema è conosciuto. Purtroppo il progresso non è garantito – e con la mancata occasione del primo presidente degli Stati uniti donna come speravamo, il successo della nuova Wonder Woman rappresenta una magra consolazione. Se Gal Gadot non fosse israeliana, avremmo potuto chiederle di candidarsi per il 2020, ma ci sono dei limiti.

Dietro la cinepresa, troviamo anche Patty Jenkins, che va ad aggiungersi al gruppo esiguo di registe femminili – Kathryn Bigelow, Ava DuVernay e Sofia Coppola sono le altre – che lavorano ad Hollywood. Ma questo gruppo non aumenta. In realtà, sta diminuendo. Nel 2015 le donne costituivano il 9% dei registi dei primi 250 film usciti in quell’anno. Nel 2016 hanno perso due punti e sono scese al 7%. Se parliamo di progresso questo è sicuramente il progresso di “un passo avanti, e due indietro”. E’ comprensibile che le donne americane si sentano sotto assedio.

C’è un altro gruppo, ristretto, sotto assedio nel nuovo film di Sofia Coppola – L’inganno (The Beguiled), remake di La Notte Brava del Soldato Jonathan di Don Siegel. Nel film originale del 1971, Clint Eastwood recita la parte del maschio mascalzone che seduce ragazze isteriche approfittando della loro repressione sessuale, in parte per evitare la prigione, in parte perché è insaziabile: la prima ripresa del film lo mostra mentre dà un bacio ad una ragazza di dodici anni. Per Sofia Coppola, invece, questo gotico meridionale è stato strofinato fino a brillare. Colin Farrell – nei panni del soldato ferito – appare sempre di più come la vittima, il ragazzo irlandese che non ha la più pallida idea del perché si trova in questa situazione. Il casus belli, cioè la schiavitù, sparisce dal film in una mossa problematica dato il contesto attuale, regalando alle ragazze bianche sudiste un’innocenza senza complicazioni o macchie storiche. Cosi tutto è ordinato, ben cucito insieme con una Nicole Kidman nei panni della governante che, nonostante un momentaneo barlume di desiderio, riesce ad organizzare in modo pacifico le sue ragazze in modo da eliminare il pericolo dell’intruso maschio. Quando ci sono soldati da ingannare o un arto da amputare, lo fa con un’efficienza che ricorda Mary Poppins al suo meglio. Il film rispecchia infatti questa interpretazione con inquadrature classiche, fatte come si deve, e infine il film stesso presenta un tema che esalta il lavoro femminile come arma di resistenza e mette la solidarietà femminile, la sorellanza, prima degli uomini.