Minetu Larabas Sueidat è una giovane attivista saharawi, nata e cresciuta nei campi profughi in Algeria a Tindouf. Recentemente è diventata segretaria generale dell’Unione nazionale delle donne saharawi (Unms).

A maggio, con Gianfranco Fattorini, presidente di una ong per la promozione e protezione dei diritti umani nel Sahara Occidentale, è stata audita al Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei Deputati per spiegare la difficile condizione del popolo saharawi nei campi profughi e nei territori occupati.

Qual è il ruolo delle donne nella società saharawi e quali differenze con i paesi vicini?

La nostra è una società matriarcale che non ha mai considerato la donna come inferiore all’uomo e che ne ha, invece, sempre riconosciuto il valore e sostenuto la presenza in tutti gli aspetti della quotidianità: accudiamo le nostre famiglie, lavoriamo nei poliambulatori medici, insegniamo nelle scuole e facciamo politica. Le donne sono presenti in tutte le rappresentanze politiche (comunali, parlamentari e ministeriali) della Rasd (Repubblica araba democratica saharawi). Il ruolo della donna è centrale a livello sociale, politico ed economico: le donne sono l’anima, il cuore e il braccio del popolo saharawi.

Quali sono le principali attività dell’Unms?

L’Unms ha il compito di promuovere una continua sensibilizzazione e consapevolezza a tutte le donne del loro ruolo sociale, politico e culturale. La nostra associazione (nata nel 1974) porta avanti progetti di sviluppo, scolarizzazione e integrazione lavorativa per le donne. Nei campi organizziamo attività di autostima, corsi di formazione lavorativa, promuoviamo attività relative alla parità di genere. Siamo presenti con diverse attività lavorative per promuovere la produzione economica nei campi e creare una maggiore autonomia per le donne. Il nostro principale obiettivo resta comunque la lotta di liberazione e la resistenza non-violenta e culturale all’occupazione. La promozione del referendum di autodeterminazione e l’attività di sensibilizzazione all’estero diventano fondamentali come forma di sostegno alla nostra causa.

Qual è la condizione delle donne, principali protagoniste nelle manifestazioni, nei territori occupati?

Le condizioni di vita nei territori occupati, anche delle donne, sono pessime e difficili. Il Marocco continua a violare i diritti umani quotidianamente e reprime in maniera violenta qualsiasi manifestazione o dimostrazione di sostegno alla causa saharawi. Viene negata la libertà di espressione, di manifestazione e di associazione con rappresaglie e violenze nei confronti soprattutto delle donne. Purtroppo questa vergogna quotidiana non è nota a causa del totale blocco imposto da Rabat che non permette l’ingresso di parlamentari, giornalisti e rappresentanti dell’Onu nei territori occupati.

Dopo 40 anni di occupazione, il messaggio di resistenza non violenta che promuove l’Unms è seguito dai giovani?

La nostra azione di resistenza è fondamentale come forma di azione politica sia per quanto riguarda le giovani generazioni che per il sostegno che abbiamo dalla comunità internazionale in termini di solidarietà e di supporto da parte anche delle organizzazioni non governative. L’emancipazione del ruolo della donna nella società rappresenta uno degli obiettivi principali, anche in preparazione dell’indipendenza di un paese in cui al primo posto esiste la volontà di far rispettare tutti i diritti umani. Secondo noi questa è l’unica strada da percorrere per arrivare alla liberazione della nostra terra e per ottenere un referendum di autodeterminazione.

È fiduciosa che ci sarà un referendum sull’indipendenza?

Sì, anche perché quello che so è che siamo impegnati per ottenerlo facendo conoscere nel mondo la nostra lotta. Non accettiamo di vivere in un paese che non è nostro. Siamo orgogliosi perché lottiamo per i nostri diritti e questo dà valore alla nostra vita: lottare e combattere per la propria terra.