«Abbiamo una donna alla guida del governo, ma non dobbiamo lasciarci trarre in inganno», avverte Barbara Unmüssig. Per la politologa 57enne, co-presidente della fondazione Heinrich Böll, think tank dei Verdi, «in Germania l’eguaglianza fra i sessi esiste solo sulla carta».

Al di là dell’apparenza qual è la realtà della condizione femminile in Germania?

È presto detto: fra i 34 Paesi dell’Ocse solo due sono peggio di noi in quanto a gap salariale fra uomini e donne, e addirittura nessuno lo è per differenza nelle pensioni. Una situazione vergognosa per un paese avanzato. Inoltre, due terzi di chi ha un cosiddetto mini-job è donna, e la maggioranza delle lavoratrici fra 25 e 55 anni ha un impiego a tempo parziale: dati dai quali è facile intuire come i lavori domestici e di cura continuino a ricadere sulle spalle delle donne, che sono anche le più esposte al rischio-povertà.

Negli anni scorsi come si è affrontata la questione?

Il governo di Angela Merkel non ha preso sul serio la diseguaglianza nelle retribuzioni e, devo aggiungere, purtroppo non lo hanno fatto nemmeno i sindacati. In questo paese vige ancora il modello tradizionale dell’uomo capo-famiglia «che porta a casa il pane», favorito anche dal fisco, attraverso il quoziente familiare. Ma fra le donne cresce l’insoddisfazione, come mostra l’indagine di un importante istituto demoscopico, l’Allensbach-Institut, pubblicata dalla rivista femminista Emma.

Questa insoddisfazione è un fenomeno nuovo?

Ci sono ricerche empiriche che mostrano come nell’ultimo decennio si sia diffusa la sensazione che in Germania non servissero più politiche specifiche per la parità, che più o meno tutto fosse stato ottenuto. Adesso la percezione sta cambiando. Lo si deve al fatto che la generazione delle giovani che non ha subito discriminazioni a scuola o all’università (dove sono più dei maschi), e che pensava quindi che i problemi fossero scomparsi, ha scoperto che esiste ancora il «tetto di cristallo». Quando cominci a lavorare e far figli, cioè, sbatti ancora contro una barriera che continua ad esserci, anche se prima non la vedi: te ne accorgi quando non trovi i servizi per l’infanzia e incontri le prime difficoltà a fare carriera.

Eppure una donna è cancelliera: problemi di carriera non ne ha avuti…

Certamente, ma è un’eccezione: non bisogna farsi ingannare dal suo caso. E, per fortuna, la maggioranza delle donne tedesche è cosciente del fatto che l’esecutivo democristiano-liberale non abbia fatto una politica a loro favore: lo si evince dall’indagine effettuata dall’Istituto Allensbach.

E questo giudizio si rifletterà nelle urne, tra due domeniche?

La domanda da farsi è: qual è il comportamento elettorale delle donne? In quante scelgono chi votare sulla base dei temi legati alla condizione femminile? Per ora sono una minoranza.

A proposito di elezioni, lei è favorevole alle quote?

Sì. Ma comprendo le donne che sono contrarie, sulla base del principio per cui «dobbiamo farcela da sole». Tuttavia è dimostrato che solo attraverso le quote si riduce la scandalosa disparità di rappresentanza nei parlamenti. Lo si vede bene qui in Germania: i partiti di sinistra, che le prevedono, hanno un’alta rappresentanza femminile – il gruppo dei Verdi nel Bundestag ha il 54% di donne –, mentre democristiani e liberali, che non le applicano, hanno rispettivamente solo il 20% e il 25%. E il discorso vale anche per i consigli di amministrazione delle imprese. Non si può lasciare tutto all’autoregolazione volontaria, come invece ha sempre sostenuto il governo Merkel. Detto ciò, deve essere chiara una cosa: le quote sono giuste dal punto di vista della parità, ma non mi faccio illusioni che avere donne ai posti di comando migliori di per sé ciò che viene fatto. Sono due cose molto diverse.

Qual è il ruolo delle donne all’interno dei partiti tedeschi?

Purtroppo le iscritte stanno diminuendo in rapporto agli uomini: i Verdi, che sono il partito ad avere più a cuore il tema della «democrazia paritaria», stanno cercando di porvi rimedio. Anche fra i Grünen, comunque, i problemi non mancano. Negli anni scorsi c’era molta più attenzione al tema delle pratiche politiche: come organizzare una vita interna al partito inclusiva e non plasmata sul classico modello tradizionale di organizzazione «al maschile». Adesso questa sensibilità si sta perdendo e hanno preso il sopravvento i classici modelli stereotipati di riunioni e assemblee: quelli dove quasi solo gli uomini prendono la parola.

Nelle attività della fondazione Böll distinguete bene tra politica delle donne e politica di genere: può illustrarci in che senso?

Quando si parla di «politica di genere» bisogna occuparsi anche degli uomini. Un esempio: i ragazzi maschi hanno peggiori risultati a scuola rispetto alle ragazze, e noi dobbiamo capire perché. Nell’ambito della politica di genere riflettiamo molto sui ruoli: per questo guardiamo con molta attenzione alle associazioni di uomini che lavorano sull’identità maschile a partire da un’ideale di emancipazione di tutti, donne e uomini, ovviamente non solo eterosessuali. Sono dei gruppi che si pongono la domanda-chiave: come si può davvero scegliere liberamente il modo di condurre la propria vita senza subire il condizionamento di discriminazioni e ruoli predefiniti?

Nei mesi scorsi si è acceso il cosiddetto «Sexismus-Debatte», nato dalla denuncia di una giornalista che ha raccontato di avere subito un’offesa sessista da parte del candidato cancelliere del partito liberale (Fdp), Rainer Brüderle. La Germania è un paese sessista?

Non c’è nessun paese al mondo dove non vi sia sessismo. La vicenda di Brüderle mostra che cosa si muove nella società: praticamente ogni donna – anche questo è empiricamente dimostrato – ha subito almeno una volta un’offesa sessista, anche solo in forma di «battuta». Ma è un tema-tabù: molte donne decidono strategicamente che è più conveniente non denunciare pubblicamente le aggressioni verbali.

Se confrontata con quella italiana, tuttavia, la politica tedesca appare praticamente immune dal sessismo, e quello di Brüderle un episodio isolato…

Berlusconi ha portato il sessismo a livelli estremi e lo ha politicamente legittimato. Ma attenzione: anche se non abbiamo Berlusconi, il sessismo c’è anche qua. Esistono sufficienti testimonianze pubbliche di donne dirigenti di imprese – ad esempio del ramo automobilistico – che non riescono ad arrivare ai massimi vertici perché ai piani alti dominano veri e propri sodalizi maschili, che prevedono di regola che dopo certe riunioni, o nei viaggi di lavoro, si finisca a «rilassarsi» nei bordelli. Fra gli uomini di queste cerchie più influenti esistono vincoli difficili da spezzare, e valgono determinati codici di comportamento che producono l’effetto di tenere lontane le donne.

Ha citato la prostituzione, che non è peraltro un fenomeno solo femminile. In Germania i bordelli sono stati legalizzati dal governo Spd-Verdi: qual è la condizione delle lavoratrici del sesso?

Questo è un tema molto discusso, rilanciato da una recente inchiesta dello Spiegel, che in copertina titolava Bordell Deutschland. Le lavoratrici davvero indipendenti dicono che con la nuova legge le cose vanno meglio. Ma il fenomeno ovviamente non si esaurisce con loro: abbiamo un numero enorme di postriboli con prostitute straniere, che non hanno scelto liberamente quel lavoro. Ma il problema non è la legge sulla prostituzione: è la tratta illegale di persone, che è un reato. Lo scopo della legge era proprio quello di eliminare la schiavitù: alcuni frutti si sono avuti, ora si tratta di fare di più contro la tratta.

In Italia stiamo finalmente affrontando il problema della violenza maschile contro le donne: qua se ne parla? A guardare la campagna elettorale, non direi proprio: quasi che il fenomeno non esistesse…

Ha ragione: non se ne parla affatto, ma il fenomeno esiste eccome. Le statistiche dicono che una donna su quattro ha subìto un episodio di violenza, molto spesso per opera di mariti o padri. Noi abbiamo un’ottima legge anti-violenza (Gewaltschutzgesetz), che prevede, ad esempio, che l’uomo violento debba abbandonare la casa in cui vive con la compagna maltrattata. E polizia e magistratura sono molto più sensibili di prima. Il problema, tuttavia, è che continua a non funzionare la prevenzione: le cifre dimostrano, purtroppo, che le violenze non sono diminuite.