La sostenibile leggerezza del Pd di Letta. Oggi il nuovo segretario compie un mese dal suo discorso di insediamento all’assemblea nazionale, pochi giorni dopo l’improvviso rientro da Parigi.
Da quel 14 marzo è iniziato un lungo lavoro di ricostruzione del partito, che ha avuto al centro il questionario in 20 punti a cui hanno risposto circa 40mila iscritti.

Tesserati che Letta vuole ricoinvolgere fino farli votare in futuro sulle decisioni principali, in modo da provare a togliere il potere ai capicorrente. Insieme a questa apertura, con le Agorà da luglio il segretario vuole richiamare elettori e simpatizzanti a discutere e pensare, proporre idee, far entrare aria. Costruire un partito «dell’intelligenza collettiva» e non del leader.

Accanto a questo pilastro identitario, c’è l’idea di un nuovo Ulivo, con i pezzi sparsi del centrosinistra e anche il M5S. Una coalizione che dovrà nel tempo trovare una sua stabilità, una valenza locale oltre a quella nazionale.

Il discorso di insediamento si era caratterizzato per delle proposte che erano subito apparse un po’ laterali, fuori fuoco rispetto alla drammatica crisi sociale in atto: il voto ai sedicenni e lo ius soli. Nei 20 punti, e poi nel lungo giro di incontri delle ultime settimane con i leader politici di tutti i partiti, dei sindacati e delle associazioni (non solo di categoria), Letta ha ribadito la volontà di introdurre in Parlamento norme antitrasformismo, di modificare la legge elettorale in senso maggioritario. Ribadendo che «il Pd non deve essere il partito del potere, costretto a governare».

E ancora: la centralità dell’Europa, la cittadinanza a Patrick Zaki, il ruolo degli insegnanti, la conferenza sul futuro dell’Europa. Enorme rilevanza ha avuto la sua battaglia per far eleggere due capigruppo donna alla Camera e al Senato, una «precondizione per un riequilibrio di genere». Ha anche detto che avrebbe voluto al suo posto una donna, e che vorrebbe che a succedergli sia la prima segretaria del partito.

Ha tirato fuori dalla naftalina del Senato il ddl Zan contro l’omofobia, sfidando le destre reazionarie. E puntato molto sul Pd come «partito delle prossimità», che esce dalle ztl delle grandi città per radicarsi nei piccoli centri, in montagna e in campagna.

È un menu che un elettore progressista e di sinistra non può certo disprezzare, anche perchè si leggono qua e là tra i 20 punti frasi come «Vogliamo un nuovo contratto sociale, dove nessuno resta indietro» e «Dobbiamo mettere al centro il lavoro e combattere l’ingiustizia sociale».

E tuttavia in questi primi 30 giorni la carne viva delle diseguaglianze cresciute durante la pandemia, la crisi sociale e le risposte radicali che richiederebbe non sono state aggredite. Neppure a parole. Mario Tronti ieri su Repubblica gli ha ricordato le parole dimenticate: lavoro, conflitto sociale da «rimettere in forma politica». «Dovrebbe pronunciare di più la parola lavoro. Vanno bene lo ius soli e il voto ai sedicenni, tuttavia va affrontata anche la grande questione sociale, che è sempre lì davanti ai nostri occhi. Altrimenti il Pd non lo schioda dal 20 per cento».

Già, perché anche il concetto di uscita dalle Ztl, nella nella retorica lettiana, ha più il sapore di uno spostamento geografico che sociale: dai grandi ai piccoli centri. Non dai garantiti ai precari. Non dai convegni di Parigi alla vita quotidiana di una famiglia senza uno stipendio fisso. Così come il giro di incontri ha avuto più il sapore di un tour istituzionale che di un’immersione nelle ferite della società.

Nessuno si aspettava l’arrivo di Che Guevara, beninteso. E tuttavia, anche scorrendo il profilo twitter del segretario, si coglie una leggerezza dell’essere, non certo insostenibile, visto che la persona è più che stimabile. Un po’ sovrastrutturale», come disse D’Alema a Veltroni ormai 40 anni fa.

Tra un battimani per la nuova presidente della Reuters, un altro per la promozione di Maria Chiara Carrozza alla guida del Cnr, una citazione di De Gregori e uno studio matto e disperatissimo (insieme agli ex allievi di Sciences Po ora nel suo staff) sui questionari inviati ai circoli dem, si respira questa atmosfera da università progressista un po’ d’élite, politicamente correttissima, colta, affidabile, europeista, solidale. Così lontana dalla realtà.