Non è che un piccolo cerchio di metallo, anche se spesso di un metallo pregiato. Di solito, quando lo portiamo al dito della mano, magari indossandolo costantemente, non lo facciamo soltanto perché è un ornamento, ma perché rappresenta il segno di una promessa amorosa, o il simbolo di un vincolo coniugale. Nella incertezza delle nostre vite, non ci dispiace che la sua circolarità ininterrotta evochi qualcosa come un voto di durata e fedeltà, l’idea di un amore tenacemente costante, se non infinito.

Il volume di Wendy Doniger L’anello della verità e altri miti intorno al sesso e ai gioielli (traduzione di Svevo D’Onofrio, Adelphi, «Il ramo d’oro», pp. 397, e 38,00) offre un’analisi molto esperta del significato culturale, storico, antropologico di quei particolari oggetti semiotici che sono gli anelli, capaci di evocare la durata illimitata degli affetti – anche grazie al materiale resistente di cui in genere sono fatti – e allo stesso tempo dell’amore carnale, suggerito dalla relazione che l’anello stabilisce con il dito, a partire dal gesto per infilarlo, un rinvio analogico all’atto sessuale.

Newyorkese di origine ebraica, titolare della cattedra di Storia delle religioni presso l’università di Chicago, indologa e straordinaria traduttrice dal sanscrito, Wendy Doniger si avvale per la sua ricerca dello strumento a cui nella sua lunga carriera di studiosa ha più regolarmente fatto ricorso: l’analisi comparativa dei miti (antichi, moderni, contemporanei) e delle loro varianti, estesa su un arco temporale assai ampio e pronta a convocare narrazioni di epoche, testi, culture lontani e diversissimi. È una ricognizione che non esita a districarsi – con stile brioso, che non rinuncia a un’ardita, e non di rado disillusa, vena umoristica – tra la Bibbia ebraica e i testi sanscriti, i poemi epici indiani (a cominciare dal Mahabharata) e il teatro greco e romano, il medioevo europeo (anglo-normanno, scandinavo, germanico) e il teatro shakespeariano, la letteratura moderna e contemporanea (Diderot, Austen, Ibsen, Maupassant, James, Asimov, Roth) e le produzioni cinematografiche (Cukor, Hitchcock, Hawks, Ophüls), i testi di celebri canzoni pop e le subdole campagne pubblicitarie della corporation diamantifera De Beers.

Tra lecito e illecito
Per interrogare la persistenza delle invenzioni narrative concentrate sul simbolismo del gioiello circolare, che mettono gli anelli (o anche le collane) alla cuspide di un triangolo ai cui altri due vertici stanno il sesso e il potere socio-politico ed economico, Doniger unisce al suo personale, disciplinato, eclettismo metodologico (antropologia strutturale e psicoanalisi sono i saperi più convocati, accanto a gender history e filosofia pratico-morale) il ricorso a una mirata alternanza di contestualizzazione e decontestualizzazione storico-geografica dei racconti in cui il «motivo» dell’anello è presente (una strategia ermeneutica descritta ottimamente in The Implied Spider. Politics and Theology in Myth, riedito nel 2010).

L’indagine rende così evidente come nella sbalorditiva ricorrenza dell’anello in miti e racconti di ogni tempo, e nella loro presa universale sull’immaginazione umana, sia in causa non solo un bisogno di rassicurazione nel campo strutturalmente problematico della emozioni e delle relazioni sessuali, dove la nostra vulnerabilità è esasperata, ma anche – e forse soprattutto – sia in gioco la questione stessa di un possibile smarrimento identitario. E anche il problema relativo alla discriminazione del vero dal falso si ritrova coinvolto, così come quelli della definizione del lecito e dell’illecito e della partizione tra forza e debolezza. Nelle decine e decine di storie che vengono ri-raccontate nel libro, l’anello rinvia, certo, alla promessa o al vincolo d’amore, ma sistematicamente segnala anche qualcosa di speciale circa la fisionomia dell’amante.

Nel momento in cui l’anello viene offerto o conquistato in quanto contrassegno amoroso (poiché è dotato di un particolare sigillo, oppure di un’incisione) agisce nei racconti come prova cruciale di un matrimonio o di una paternità, o di un adulterio, oppure come certificazione di un incontro (o scontro) erotico. Le storie di gioielli circolari perduti e ritrovati, di mariti smemorati, di mogli scaltre, di violenze esplicite o striscianti, sono tutte, ciascuna a suo modo, vicende di riconoscimento o disconoscimento, in cui per un verso l’inautenticità o l’illusione o la fraudolenza vengono scongiurate dall’apparizione dell’indizio decisivo costituito dal prezioso cerchietto, per altro verso l’effettiva, solida realtà (talvolta tremenda) può venire bellamente negata, in virtù degli ironici uffici svolti dagli anelli.

Una dedica eloquente
Come le mitologie che li ospitano (e in definitiva come ogni mito, nella sua sfuggente astoricità), anche gli anelli sono significanti «bipolari», «ambivalenti», contraddittori: indicano allo stesso tempo possibilità opposte, già per il semplice fatto di essere falsi o autentici, visibili o invisibili, smarriti o ritrovati, forieri di ricordi o induttori di oblio. Innervata dalla frequentazione di Lévi-Strauss e di Freud, e da una chiara consapevolezza delle dinamiche economiche della modernità, (che rendono sempre più centrale il valore di mercato dei gioielli) la ricerca di Wendy Doniger si fa strada verso il nucleo di verità storica intrinseco all’anello, ovvero il suo complesso e sottilissimo potere di marchiatura sessuale, il suo rapporto con l’urgenza maschile di siglare un possesso, di determinare «chi ha dormito con la donna», comprimendo la singolarità del desiderio femminile sulla prestazione sessuale finalizzata alla meta procreativa o sull’appagamento del maschio.

Arrivati al termine dell’Anello della verità, potrà così suonarne altrimenti significativa la dedica, quelle righe in cui è sobriamente deposta una forma indiretta di demitizzazione, lieve e strategicamente felpata (poiché non c’è mito che non sappia riafferrare, nella sua paradossale razionalità, chi presuma di contrapporvisi con le sole armi della logica): «a mia nipote Emma Doniger, che sa tutto sui gioielli e che ha ascoltato con grande attenzione (o riguardo) molte delle mie storie e me ne ha insegnata un’altra, sulle donne della sua generazione, che i gioielli preferiscono comprarseli da sé».