Ieri a mezzogiorno, ora di Kiev, l’ospedale numero 27 nel quartiere di Tekstlishchik di Donetsk è stato bombardato; secondo i primi testimoni, i colpi di artiglieria avrebbero provocato dai 5 ai 15 morti.

In serata, in un altro quartiere della città orientale, è toccato a un palazzo residenziale finire nel mirino dei bombardamenti: almeno 10 i feriti. Come accade sovente dallo scorso aprile, mese d’inizio della guerra tra Kiev e i filorussi, queste macabre addizioni al numero totale delle vittime del conflitto (5.358 persone sono morte e 12.235 ferite) riaccendono i fari internazionali sul Paese.

C’è un conflitto, con combattimenti e morti quotidiane, che periodicamente riportano l’Ucraina tra le prime notizie di giornata.

E come in altre occasioni, di fronte a queste tragedie, si aprono nuovi scenari, anche immediati; come si ricominciasse da capo ogni volta, ogni parte in causa tenta di arraffare quanto possibile. Approfittando della rinnovata attenzione internazionale, il governo di Kiev con il presidente Porosehnko in prima linea chiede armi, aiuti, sostegni «veri», che possano cambiare l’inerzia della guerra.

I filorussi fanno la stessa cosa con Mosca, cercando appoggi per approfittare di una situazione che li vede militarmente in vantaggio, per ora. Inoltre, come già altre volte, anche nel caso degli ultimi due bombardamenti, non ci sono i responsabili. Kiev accusa i ribelli, che rispondono accusando Kiev. Se si eccettua Odessa, dove immagini, video e testimonianze hanno mostrato le responsabilità di neonazi e ultras, nell’agguato e nel rogo in cui sono stati uccisi almeno 48 pacifici dimostranti «separatisti», ogni altra tragedia di questa guerra rimane sospesa nello scontro di propaganda, iniziata già dalle prime molotov di Majdan, e proseguita – tra i casi più eclatanti – con un aereo di linea abbattuto e con la morte del giornalista italiano Andrea Rocchelli.

Le notizie che arrivano dal fronte, inoltre, mischiano i contesti, creando la sensazione di essere immersi, prima di tutto, in un brodo di natura criminale: ieri si è appreso della morte del comandante ceceno, già a capo della guerriglia cecena negli anni Novanta, Isa Munaiev. Combatteva per Kiev, come capo del battaglione che prende il nome, guarda il caso, di Dzhokhar Dudaiev.

Non sembra avere un comportamento migliore, chi questo conflitto per procura sembra gestirlo fin dalla sua nascita. Gli Stati uniti dovrebbero in primo luogo riflettere su come sia possibile che ogni «rivoluzione» – colorata o araba – nata (o aizzata) con l’intento di abbattere un mostro, finisca spesso per crearne di altri, perfino peggiori. Poroshenko (che da ieri non è più il quinto presidente del paese, bensì il quarto, perché la Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, ha privato il deposto capo di Stato Viktor Yanukovich del titolo di presidente) nel silenzio generale dell’amministrazione Obama, non ha realizzato nessuna delle promesse (pace compresa) fatte per ottenere gli aiuti economici necessari a un paese diviso e in bancarotta.

Oggi a Kiev Poroshenko incontrerà il segretario di Stato Kerry, (dopo aver parlato alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg). Secondo i media ucraini, al termine dell’incontro con Kerry, ci sarà una dichiarazione congiunta, con la quale il segretario di Stato Usa confermerà l’appoggio incondizionato a Kiev, oltre a dover discutere di «riforme» insieme ai parlamentari ucraini. Non si sa ancora, per quanto Poroshenko ci speri ardentemente e se ne dica «certo», se Kerry aprirà anche alla possibilità paventata nei giorni scorsi dall’amministrazione di Washington, di inviare aiuti militari.

La novità infatti è che Obama (che appare il più scettico) e quei funzionari che hanno messo in piedi questo appoggio incondizionato, via Nato, si ritrovano a pensare alla possibilità di mandare armi «letali» a Poroshenko, per consentirgli di arrivare, quanto meno, a una tregua dignitosa.

Al riguardo Putin nicchia, messo all’angolo da altri problemi (le sanzioni, la guerra del petrolio) e cerca di mantenere alta la confusione. Comunque la si pensi, il filo sottile che mantiene questa guerra in moto è il paventato rischio, ormai palese nelle intenzioni da parte americana, di un’adesione dell’Ucraina alla Nato. Un gesto che finirebbe per sancire un momento decisivo della guerra e che ne determina scossoni anche solo se paventato.

Come sottolineava un editoriale di Le Monde, Obama starebbe realmente pensando a un’accelerazione, mentre l’Europa appare totalmente in balia degli eventi. Ieri – a proposito – è intervenuta Merkel: «Non ritengo che sia fallito il tentativo di combinare le sanzioni nei confronti della Russia con il dialogo, anche se non conduce così in fretta ai risultati che ci auguriamo e la situazione è effettivamente di nuovo diventata molto più seria».