Pare sprecarsi in questi giorni l’attributo storico. Storica è stata definita la giornata di ieri dalla leadership ucraina, per l’entrata in vigore dell’Accordo di associazione alla Ue, anche se il suo contenuto principale, la zona di libero scambio tra Ucraina e Ue, è rinviata al 2016. Storico il 1 novembre, per il passaggio di consegne tra la britannica Catherine Ashton e l’italiana Federica Mogherini all’Alto segretariato dell’Unione Europea per gli affari esteri, con un’agenda di priorità quali la regolazione della crisi ucraina e il sostegno al dialogo tra Ucraina e Russia.

Storica la giornata di oggi nel Donbass dove, salvo «interferenze esterne» si tengono le elezioni nelle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk e la cui data, scrive Kommersant, basandosi su una fonte, sembra, vicina addirittura agli ambienti presidenziali ucraini, era prevista negli accordi di Minsk del 5 settembre scorso, a differenza di quella del 7 dicembre su cui ora insiste Kiev.

La campagna elettorale è proseguita anche ieri, senza il canonico «giorno di silenzio»: le cannonate governative lo hanno escluso. A parere del Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il voto del 2 novembre costituirà una legittimazione della leadership delle due repubbliche, così come i referendum del maggio scorso avevano sancito la volontà delle popolazioni del Donbass di separare i propri destini dalle forze golpiste di Kiev. Il leader della Crimea Sergej Aksenov ha sottolineato il «legittimo diritto delle Repubbliche popolari all’autodeterminazione».

Diverso, ovviamente, il parere di Poroshenko e della Ue: Mogherini, nel congratularsi telefonicamente con lui per «la democraticità delle elezioni» alla Rada, ha escluso che gli accordi di Minsk prevedessero elezioni nel Donbass e la Commissione europea minaccia di inasprire le sanzioni, se Mosca le riconoscerà. Washington insiste sulla data del 7 dicembre, secondo lo status speciale del territorio previsto negli accordi di Minsk; pressoché identica la posizione dell’Osce. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha espresso «preoccupazione» per le elezioni in Novorossija.
Secondo osservatori russi, il protocollo di Minsk non indica una data precisa per le elezioni e dice solo che è necessario «garantire lo svolgimento di elezioni locali in conformità con la legge sullo status speciale». «Su questo punto cominciano le divergenze» scrive il Pc russo; «Il 16 settembre la Rada adottò la legge «sui poteri speciali delle autorità locali e le misure di ripristino in una serie di zone del Donbass», in cui si fissava la data del 7 dicembre. Ma i rappresentanti delle Repubbliche popolari rifiutarono di riconoscere un atto alla cui redazione non avevano preso parte.

Successivamente hanno definito quella legge «giuridicamente inconsistente»: l’articolo 1 stabilisce infatti che la Rada fisserà l’elenco delle regioni dotate di status speciale; ma ciò non è stato fatto e quindi la legge è giuridicamente nulla».

E comunque, a parere del vice direttore dell’istituto per i Paesi della Csi, Igor Shishkin, le elezioni nel Donbass, indipendentemente dal fatto che si tengano il 2 novembre o il 7 dicembre, non saranno riconosciute dall’Occidente, per il semplice fatto che questo sta dietro al golpe di Majdan.

D’altra parte, c’è chi giudica non conseguente la posizione del Cremlino rispetto alla Novorossija: sul sito legato al Pc russo «Stampa libera», il direttore del Centro di ricerche di cultura politica, Sergej Vasiltsov, scrive che «i nostri politici non sanno fino in fondo cosa vogliano»: è il caso anche delle recenti elezioni alla Rada suprema, che alcuni esponenti qualificano dapprima “sleali e ciniche” e poi lo speaker della Duma si dichiara pronto alla collaborazione con la Rada. Se in un primo tempo si può pensare a un piano ingegnoso, poi ci si rende conto dell’assenza di qualsiasi piano».

Comunque, i sondaggi per l’elezione del Consiglio popolare e del capo della Repubblica di Donetsk indicano un 39% di intenzioni di voto per «Repubblica di Donetsk»; 31,6% per «Donbass libero«, contro un 29% di indecisi. Per la carica presidenziale, in testa l’attuale premier Aleksandr Zakharcenko con il 51% delle intenzioni di voto. In un paese in cui la pensione media (che non si vede da alcuni mesi) non arriva ai 60 euro e il salario supera di poco i 200 e in cui al 31 ottobre l’Onu ha calcolato 4.035 morti e 9.336 feriti, gli elettori si attendono dal nuovo parlamento «la pace e la soluzione dei problemi quotidiani». Vari partiti russi, tra cui Pc, Ldpr, Russia giusta e Patria (la delegazione di quest’ultimo, ieri l’altro è stata presa a fucilate prima di giungere a Donetsk) hanno annunciato l’invio di osservatori al voto.

«Dopo tutto, è grazie a Lenin che il nostro paese ha ricevuto molte regioni. Guardate la carta dell’Ucraina – dove si trova il Donbass, per esempio? I bolscevichi hanno donato all’Ucraina quasi la metà del territorio» dice il segretario del Pc ucraino Petr Simonenko.

Pochi dubbi che proprio il Donbass sembri rispondere a quelle caratteristiche di «nazione» – una comunità stabile di gente, formatasi storicamente sulla base della comunanza di lingua, territorio, vita economica e struttura psichica – che già nel 1913 nient’altri che Stalin indicava come determinanti per proclamare il diritto all’autonomia regionale, soprattutto in presenza di un potere centrale uscito da un golpe.