Guardiamo a Genova 2001 in una prospettiva di lunga durata: si trattò di un esperimento repressivo fallito o dell’avvio di un ciclo di militarizzazione e violenza verso i movimenti? Forse tutte e due le cose ci dice Donatella della Porta, preside della classe di scienze politico-sociali della Scuola Normale Superiore di Pisa.

«Non dimentichiamo che prima di Genova c’era stata una forte repressione contro i dimostranti a Seattle e a Napoli. La protesta internazionale dopo le violenze contro i manifestanti a Genova nel 2001 è stata molto energica e questo ha evitato che si ripetessero le stesse violazioni dei diritti umani in occasione dei successivi vertici dei capi di stato e di governo. In questo senso Genova è rimasta un evento unico. Nello stesso tempo è chiaro che, nei vent’anni successivi, il diritto alla protesta è stato subordinato all’ordine pubblico, che i vertici sono stati più isolati e militarizzati. Questo è accaduto anche perché negli ultimi anni c’è stata una minore ‘sponda politica’ per i movimenti, che si sono ritrovati sicuramente più distanti dalle forze politiche tradizionali».

Dal 2001 in poi abbiamo visto vari episodi di repressione dei movimenti, con vari gradi di violenza: negli Stati Uniti durante le presidenze di George W. Bush e Donald Trump, in Francia durante la presidenza di Emmanuel Macron contro i gilet gialli, in Spagna da parte del governo di Mariano Rajoy contro gli indipendentisti catalani. A tutto questo dobbiamo aggiungere le sistematiche violenze contro i migranti, sia dirette come nei casi della Spagna e della Francia, sia «delegate» alla cosiddetta guardia costiera libica o alla polizia croata. Si può dire che dopo Genova i governi si sono sentiti più liberi di usare metodi repressivi violenti contro chi protestava?

«Per quanto riguarda i summit internazionali direi di no: i governi hanno cercato di prevenire e ostacolare le proteste, ci sono state occasionali violenze ma non una repressione violenta e torture sistematiche degli arrestati come a Genova. C’è stato invece un estendersi della repressione, in precedenza concentrata sui movimenti radicali, contro il movimento operaio, contro manifestazioni che un tempo sarebbero state considerate più ‘legittime’ e fronteggiate con una gestione più negoziata».

Macron, in Francia, ha adottato misure estreme contro le manifestazioni dei gilet gialli nel 2018-2019: i blindati lungo Rue de Rivoli non si erano visti dai tempi della guerra d’Algeria.

«Sì, ma anche in questo caso il governo francese ha adottato atteggiamenti diversi in occasioni diverse: il movimento La Nuit Debout era stato tollerato mentre i gilet gialli, un movimento nuovo e con una composizione sociale inedita, sono stati visti come un pericolo serio e affrontati con durezza nei loro tentativi di manifestare a Parigi. Assistiamo a cicli di repressione e tolleranza che si succedono l’un l’altro».

Torniamo a Genova: con il beneficio di uno sguardo storico, che giudizio dai sugli avvenimenti di allora?

«È stata certamente una sconfitta per la polizia, diventata più chiara ed evidente nel tempo grazie al lavoro della magistratura, italiana ed europea. Ci sono vari elementi che ora sono chiari: prima di tutto si è riconosciuto che le torture a Bolzaneto e alla Diaz ci sono state, le false prove e i depistaggi ci sono stati: è stata molto importante la sentenza del 2017 della Corte Europea sulle violazioni dei diritti umani. Sappiamo anche che quello che è accaduto non è stato un momento di violenza dei semplici agenti, eccessi nel calore degli scontri, bensì operazioni volute e dirette dai vertici della polizia e che questi dirigenti, individuati e condannati dai magistrati, sono stati protetti e promossi sia dal centrosinistra che dal centrodestra. I processi contro i manifestanti hanno riconosciuto in molti casi l’innocenza degli imputati o il fatto di aver agito per legittima difesa».

«Nello stesso tempo –continua della Porta- le violenze e in alcuni casi le torture sono continuate nelle carceri, contro i detenuti comuni: se non ne abbiamo più viste in occasione di manifestazioni politiche ne abbiamo invece scoperte in numerosi casi ‘normali’ come è accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere».

Da questo punto di vista, concludiamo noi, la violenza di stato non è cambiata: i fatti vengono alla luce tardivamente, gli apparati fanno di tutto per proteggere i responsabili, i dirigenti rimangono al loro posto anche dopo la scoperta di prove inconfutabili. Trasparenza, riconoscimento delle responsabilità e punizione dei colpevoli restano obiettivi lontani invece che regole applicate ogni giorno come dovrebbe essere in un paese democratico.