Donald Sassoon è professore emerito di storia europea comparata al Queen Mary College, University of London. Tra le sue opere principali figurano monumentali storie comparate del socialismo europeo e dei consumi culturali. La sua ultima opera è The Anxious Triumph: a Global History of Capitalism, attualmente in corso di traduzione per Garzanti.

Professore, l’antifascismo in Italia è sotto costante attacco da almeno trent’anni. L’Ue si vuole liberare più rapidamente dello spettro comunista che di quello nazifascista?
Al netto di un’effettiva tendenza revisionistica, mi pare che in questo momento l’Ue dovrebbe avere altro a cui pensare che agli spettri comunista o nazifascista, queste sono preoccupazioni di alcuni paesi con regimi ex-comunisti, come appunto quello ungherese e quello polacco. In questo momento le urgenze sono Covid e Brexit, Putin, eccetera.

L’imporsi del neoliberalismo in tutta Europa richiedeva necessariamente che il contributo comunista e socialista all’Europa post-45 fosse derubricato. Ma il “populismo” non è a sua volta tra gli effetti collaterali di questo oblio?
Benché poi abbracciato da paesi usciti dall’esperienza del nazifascismo, l’imporsi del neoliberalismo in tutta Europa è cominciato in un paese privo di minacce comunista o socialista di sinistra: la Gran Bretagna con Thatcher e gli Stati Uniti di Reagan, “Populismo” è una parola complicata che usiamo in modo generico per dire l’estrema destra; ma in realtà quest’estrema destra non è mai – o lo è raramente – neoliberale. Se guardiamo al programma ad esempio di Marine Le Pen è un programma a difesa dello stato sociale ma solo per i francesi “veri e puri.”

In Italia la ricorrenza resta divisiva almeno dallo sdoganamento del concetto di guerra civile con il monumentale libro di Claudio Pavone sulla Resistenza, in cui i fascisti repubblichini erano sottratti alla disumanità assoluta quasi mentre Berlusconi chiamava i loro nipotini a governare. Da strapotente e retorico che era il 25 aprile, ora è necessario difenderlo.
Partigiano è una parola che automaticamente rimanda alla resistenza comunista. Ma col passare del tempo, eventi fino ad ora glorificati in un certo modo cominciano a cambiare. Come anche l’idea che il 25 aprile era l’Italia, tutti gli italiani uniti contro il nazifascismo – non il fascismo ma il nazi-fascismo, cioè lo straniero e i suoi servi. Quelli schierati per la resistenza erano una piccola parte come anche i loro avversari: la stragrande maggioranza cercava di sopravvivere (come avremmo fatto quasi tutti, non è un insulto). Dunque si passa da un momento di celebrazione a uno dove si comincia a dimenticare. Prendiamo il 14 luglio francese perché è la festa nazionale più nota al mondo: ebbene, pochi sanno esattamente cosa è successo il 14 con la presa della Bastiglia. Ma chi lo sa direbbe che è la fine della monarchia perché pensa che lì cada la monarchia e inizi la Repubblica perché la rivoluzione francese viene vista come una cosa repubblicana, mentre diventa Repubblica solo tre anni dopo. Dunque uno potrebbe perfino supporre che il 25 aprile rimanga festa anche quando tutti cominciano a dire che la Resistenza non ha cambiato nulla, e così via. Questa dicotomia fra l’origine di una festa e poi il valore che questa assume interessante e frequente.

In Francia de Gaulle aveva fatto un uso sapientissimo del “valore di scambio” della Resistenza.
È la particolarità francese. Francia e Italia sono i soli Paesi importanti che hanno avuto una resistenza importante che viene celebrata nei romanzi, nei film eccetera. Quella francese ha due facce, quella conservatrice – che è de Gaulle – e quella comunista, o se vogliamo di sinistra. Fecero una specie di compromesso storico: i comunisti accettarono de Gaulle come capo e questi accettò che i partigiani fossero prevalentemente di sinistra. In Italia questo non ci fu: nessuno va in giro dicendosi fieramente badogliano.

Storici come Jay Winter e, ovviamente, Eric Hobsbawm hanno ben indagato l’invenzione della tradizione.
Quando si sceglie una data si vuol dire che è importante. Chi la sceglie vuole che si ricordi un certo evento in un certo modo, in questo caso soprattutto per contraddire chi sostiene che se non ci fosse stata l’insurrezione nelle varie città italiane, il 25 aprile, i tedeschi avrebbero perso ugualmente e l’Italia sarebbe stata liberata lo stesso. Il 25 aprile era un momento simbolico per dire ci siamo mossi anche noi.

Oltre che un significativo strumento di legittimazione per il Pci.
Sì perché dovevano accettarlo tutti, anche e soprattutto i cattolici, tranne l’estrema destra. Certo, una festa nazionale deve essere accettata da tutti. Per tornare alla Francia: il 14 luglio viene scelto nel 1880 appunto perché i monarchici sono battuti, ma non completamente. E dunque invece di scegliere una data chiaramente anti-monarchica scelgono il 14 luglio perché, appunto, la monarchia era rimasta.