Venticinque anni fa moriva don Tonino Bello, una delle voci più profetiche della Chiesa italiana e dell’impegno per la pace. La sua eredità è accanto a quella di don Milani, Padre Balducci, don Mazzolari.

Vescovo di Molfetta da 1982, poi nel 1985, a capo di Pax Christi è stata una voce scomoda per la Chiesa e una presenza insostituibile per gli operatori di pace del nostro paese. Il compianto Guglielmo Minervini, che gli fu vicino per tanto tempo, ha ricordato (nell’introduzione a Il profeta e Re del 1998, edizioni e/o): «La cultura italiana lo ha ignorato. La Chiesa ha invece dovuto sopportarlo». Ed è per questo che la visita di oggi di Papa Francesco ad Alessano, dove Don Tonino nacque nel 1935, è un gesto di riconoscimento e anche di riparazione di fronte alle incomprensioni e alle resistenze che gli ha opposto una parte della gerarchia.

Le sue parole e i suoi atti «spiritualmente eversivi» (ancora Minervini) si sono scontrati con i luoghi comuni e le tradizioni consolidate: «Compito del vescovo è di indicare la precarietà della struttura, che è effimera; anche la Chiesa… è effimera, è precaria… non deve predicare se stessa». Ed ecco perchè per Don Tonino «la Chiesa non dovrebbe essere un indice puntato verso il proprio petto, ma verso un altro, il Regno di Dio». Il sogno di Don Tonino Bello – ha ricordato Mons. Raffaele Nogaro – era quello di «trasformare una Chiesa ricca che aiuta i poveri, in una Chiesa povera, cioè priva di beni e di strutture, ma piena di amore, di accoglienza, di condivisione».

È sempre stato in mezzo agli ultimi, consolando gli afflitti – le vittime delle guerre, i migranti, i poveri – ma ha richiamato il bisogno di affliggere i consolati, quelli che girano la testa dall’altra parte, gli indifferenti, i farisei, i beneficiati dal potere e dalla ricchezza, i conformisti, i privilegiati. E si è battuto incessantemente contro i «signori della guerra», testimoniando la sua presenza contro l’intervento militare nel Golfo, la militarizzazione della Puglia, la guerra in ex Jugoslavia. C’era anche lui a Sarajevo il 10 e 11 dicembre del 1992 con la spedizione dei Beati i Costruttori di Pace, di cui ci ha lasciato un breve ed intenso diario. L’11 dicembre – quando rompendo l’assedio, i pacifisti con Don Tonino entrano a Sarajevo – scrive: «Da nove mesi quando giungono le quattro pomeridiane in città non entrano neppure le camionette dell’Onu. Ma stasera c’è un’altra Onu: quella dei popoli, della base», con un messaggio: «che la pace va osata».

È sempre stato a fianco dei pacifisti: anche quando nel giugno del 1992 (e nei mesi successivi), nel pieno della guerra in Bosnia Erzegovina, c’è chi si esercitava a chiedere, come Veltroni sull’Unità, «Dove sono i pacifisti, perché non manifestano come ai tempi del Vietnam?». Ironicamente Don Tonino aveva risposto (sull’Avvenire) che i «pacifisti latitanti» non stanno nei salotti televisivi, ad agitarsi con facili slogan, a fare il tifo nelle piazze, ma da un’altra parte: ad aiutare le vittime nelle zone del conflitto, a mettere con coerenza in atto la nonviolenza, a costruire iniziative di diplomazia dal basso, a mettere in pratica quello che Alex Langer avrebbe definito – proprio nelle stesse settimane in cui Don Tonino scriveva quell’articolo – come «pacifismo concreto».

Negli anni in cui Don Tonino Bello è stato a capo di Pax Christi, ha portato quell’organizzazione sempre in prima fila contro la guerra, impegnata per la riduzione delle spese militari e contro la militarizzazione del territorio, protesa a costruire la pace con la nonviolenza, la testimonianza concreta, la solidarietà. Don Tonino Bello è stato un autentico profeta, uno scomodo protagonista della denuncia del potere e dei suoi gangli militari, un testimone straordinario del Vangelo e del suo messaggio di amore e di liberazione, un costruttore di pace là dove la pace viene quotidianamente messa in pericolo, umiliata, distrutta. È stato un suo modo un “irregolare” e un oppositore all’ordine delle cose esistente ed in questo modo, un esempio per tutti coloro che ancora oggi vogliono cambiarlo.