«Per fortuna della politica spagnola, c’è vita oltre Mariano Rajoy». L’ha detto Pedro Sánchez ieri durante il dibattito che ha preceduto il voto della prima sessione d’investitura del candidato popolare. Ed è un po’ il riassunto del dibattito, un po’ più scoppiettante del soporifero discorso che aveva dato martedì il presidente ad interim, ma che si è comunque chiuso in tarda serata con il risultato atteso: Mariano Rajoy è stato bocciato dal Congresso (180 voti contrari), a suo favore solo Pp, Ciudadanos e Coalición Canaria (170).

Tecnicamente, Rajoy potrebbe ancora riuscire a diventare presidente del governo, con la maggioranza semplice, o in seconda votazione (venerdì), o comunque entro l’1 novembre, data dello scioglimento automatico delle Cortes in assenza di un esecutivo. Ma politicamente è il primo presidente in carica che riceve quella che a tutti gli effetti è una sonora sfiducia.
La cosa più paradossale è che neppure il partito degli arancioni di Ciudadanos si fida di «don» Mariano e del Pp: Albert Rivera lo ha ripetuto 4 volte nel suo discorso. Il «chierichetto di Rajoy», come lo ha definito il leader del partito indipendentista catalano Esquerra Republicana, Joan Tardá, o la «marionetta delle élite», come invece lo ha qualificato il leader di Podemos Pablo Iglesias, ha praticamente implorato al Psoe di astenersi per non lasciarlo solo a bere l’amaro calice di appoggiare un candidato che, come ha ricordato il socialista Sánchez, la maggioranza degli spagnoli non vuole. Nulla terrorizza più Rivera dell’idea che il suo doppio «sacrificio» – a febbraio appoggiare Sánchez e oggi Rajoy – non serva a nulla e lo destini per sempre alla marginalità politica.

Al che Mariano Rajoy, sornione, gli ha risposto che dovranno andare d’accordo, «anche perché nella vita è bene farsi degli amici». Peccato, gigioneggiava, che a quest’amicizia non si sia aggiunto il Psoe. Ma è lui stesso ad ammettere che il loro patto certamente «non passerà alla storia».

Dato che i giochi sono fatti, toccava leggere fra le righe dei discorsi quello che succederà dopo sabato, dopo la nuova bocciatura di Rajoy. Per ora formalmente non ci sono segnali da parte dei socialisti, su cui ricade la responsabilità dei prossimi passi.

Sánchez lo ha detto subito chiaramente: «Il Psoe voterà No con totale e assoluta convinzione, con coerenza, per impegno con gli elettori e per il bene del paese». Dopo la lista di tutti i noti motivi per cui i 4 anni con popolari al governo sono stati pessimi, ha elencato i reati di cui è accusato il Pp: «Praticamente è tutto il codice penale, signor Rajoy!». Alla presidente del Congresso, la popolare Ana Pastor, Sanchez ha rinfacciato di aver piegato il parlamento alle necessità partitiche (fissando la data di investitura in modo che le eventuali terze elezioni cadano il giorno di Natale). Dopo aver citato le parole che lo stesso Rajoy gli aveva riservato per votare No alla sua investitura, ha concluso dicendo che impedire altri 4 anni di Rajoy «è l’atto di maggiore responsabilità che può fare un politico oggi».

Rajoy, che in questo tipo di botta e risposta è solito tirare fuori il suo inaspettato lato ironico, lo ha ringraziato perché, citandolo, lo aveva «usato con un titolo di autorità, cosa che nessuno oggi fa».

Oltre alla netta contrarietà a Rajoy, l’argomento centrale degli interventi di Unidos Podemos – che si sono divisi Pablo Iglesias, Alberto Garzón di Izquierda Unida, il catalano Xavier Domènech di En comú Podem e la galiziana Alexandra Fernández di En marea – era la richiesta al Psoe di formare un governo progressista. «Le do atto che la sua situazione è scomoda», ha detto Iglesias parlando a Sánchez, «e non eravamo sicuri che avrebbe resistito. Ha mantenuto la sua parola e la ringrazio per non aver reso possibile un governo del Pp. Ora però si decida».

L’aritmetica parlamentare parla chiaro: per riuscire nel complicato Sudoku di un governo di sinistra, Sánchez, oltre a Unidos Podemos, dovrebbe convincere i nazionalisti baschi del Pnv (che hanno chiarito a Rajoy che non gli daranno mai i suoi voti, neppure dopo le elezioni regionali in Euskadi del 25 settembre) o i nazionalisti catalani. Sia Esquerra che il Partit demòcrata català (al governo in Catalogna) invece hanno fatto chiaramente capire che sarebbero pronti a parlare coi socialisti, se solo loro volessero interloquire. Ma in ogni caso ci vorrebbe l’astensione di Ciudadanos per chiudere il cerchio.