Era questione di tempo ma ci si aspettava che anche nel caso del Russiagate che coinvolge Don jr sarebbe spuntata la figura di Assange, vero convitato di pietra della politica americana dalle primarie del 2016.

Dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove è rinchiuso da anni, Julian Assange ha twittato di essere stato lui a consigliare al primogenito di Trump di rendere pubblici tutti i contenuti sulle mail tra lui e l’avvocata russa vicina al Cremlino e di farlo tramite Wikileaks che li avrebbe pubblicati come provenienti da fonte anonima. Una mossa migliore perché avrebbe evitato alle mail, arrivando da fonte non verificabile, di acquistare valore legale.

Ma così non è stato e due ore dopo, come ha specificato Assange, il Trump giovane ha rilasciato con il suo nome tutto il carteggio.

Il nodo della questione è che così si è usciti dal limbo degli azzardi: ora ci sono le prove che il figlio di Trump sapeva che la Russia sosteneva suo padre e ha incontrato una rappresentante del governo russo per ottenere materiale screditante per Clinton e questo cambia tutto.

Trump padre al momento si difende dicendo di non essere mai stato al corrente che i più importanti dirigenti del suo comitato elettorale, durante la campagna, si fossero incontrati con dei rappresentanti del governo russo al fine di ottenere materiali compromettenti sulla sua rivale, ma questa versione o non è credibile o lo dipinge come un elemento pericolosamente inconsapevole delle mosse politiche che lo riguardano.

Nella mail di Rob Goldstone, l’uomo che ha organizzato l’incontro tra l’avvocata e il team di Trump, diretta a Don jr, Paul Manafort e Jared Kushner, entrambi sotto indagine per i loro legami con la Russia, si legge testualmente che una persona parte del governo – probabilmente il ministro di giustizia russo – «si è offerto di far arrivare al comitato Trump alcuni documenti ufficiali e informazioni che incriminerebbero Hillary e i suoi rapporti con la Russia e sarebbero molto utili a tuo padre».

Si parla apertamente di «sostegno della Russia e del suo governo a Trump» e non si può dire che la fonte di questo leak sia inattendibile, come ha provato a dire Trump , in quanto la fonte è proprio Donald jr.

Questa offerta, come tutti gli incontri avvenuti con l’avvocata, non sono mai stati denunciati all’Fbi – e già questo non è di per sé senza conseguenze – ma il fine di questi contatti, come dettagliatamente descritti nelle mail, è proprio ciò che il procuratore speciale Robert Mueller sta cercando di accertare, se ci sia stata o meno collaborazione tra il comitato elettorale di Trump e il governo russo.

Ora si può dire che c’è stata e ciò comporta anche che, essendo questo scambio avvenuto a inizio giugno e gli attacchi informatici al comitato elettorale democratico, invece, avvenuti dalla metà di luglio in poi, Trump e i suoi sapevano bene di avere il sostegno della Russia, che era dietro quegli attacchi. Non ne hanno mai parlato, anzi, lo hanno negato.

A complicare la posizione di Trump ci sono i suoi difficili rapporti con i servizi segreti americani, che di certo non amano essere tenuti all’oscuro e fare la figura degli ultimi a sapere, specie se chi li mette in questa posizione è un presidente che non perde occasione di screditarli.

Questa fase del Russiagate avviene proprio nei giorni in cui Christopher Wray, l’uomo scelto da Trump come sostituto di Comey a capo dell’Fbi, ha l’audizione al senato per confermarne la nomina, audizione che più delicata di così non può essere.