L’ultimo sigaro a don Andrea Gallo glielo ha acceso lui lunedì mattina: «Io e la Paola Pescarmona, precisiamo». Megu, per tutti, al secolo Domenico Chionetti, è «uno della generazione di Genova» approdato con la sua militanza antiproibizionista nella comunità di San Benedetto al Porto intorno al 2000 e mai più andato via.

Come ha passato le ultime ore «il don»?

Si è spento come un cero, lentamente, senza dolore, sereno. Attorniato dai nipoti e dai collaboratori più stretti – e con l’assistenza medica, ormai continua da due settimane – nel suo archivio, la stanza dove ha studiato e coordinato la comunità per 43 anni. Solo un mese fa, il primo maggio, durante la festa della comunità aveva pranzato col sindaco. Era consapevole e non voleva alcun accanimento terapeutico.

Voi, ospiti e operatori di San Benedetto, eravate pronti a questo addio?

Beh, lui ci ha sempre detto che la comunità deve camminare sulle sue gambe. Ora noi camminiamo ma ci manca la sua guida, che non è solo quella di una persona carismatica ma di un uomo che sapeva mantenere l’unione. Ora dobbiamo fare da soli. Soprattutto dobbiamo riuscire ad alimentare tutte quelle relazioni territoriali, e non solo, che Andrea curava. Sosteneva campagne elettorali e movimenti, lotte per l’acqua o contro la Tav, associazioni, collettivi… si muoveva continuamente in Italia e manteneva migliaia di contatti ovunque. Ora noi abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, di chiunque vorrà sostenere la comunità. Può nascere una San Benedetto al Porto in ogni angolo d’Italia perché don Gallo era di tutti. E – so che l’espressione è abusata – ma davvero la comunità non è solo di Genova o di Alessandria, è un bene comune.

Soprattutto lo è il messaggio di don Gallo: diritti per tutti.

Sì, e la diversità come valore. Penso a tutte le campagne che abbiamo affrontato con voi del manifesto per stare dalla parte dei tossicodipendenti, dei transessuali, delle prostitute, dei malati, dei “non normali”, di chi vive un’esistenza ai margini. In tanti ora ci stanno chiamando anche per sottoscrivere per la Fondazione don Andrea Gallo, fondata quando ancora lui era in vita e che ha come logo il suo cappello e la sua sciarpa rossa (Banca Etica: IT13H0501801400000000143630). Stiamo pensando di festeggiare qui a Genova l’85 esimo compleanno di Andrea, il 18 luglio prossimo, con tutti quelli che gli hanno voluto bene.

Perché, durante il funerale, il cardinal Bagnasco è stato contestato?

C’è stato qualche brusio quando Bagnasco ha detto che il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, per Andrea era come un padre. Qualcuno ha considerato l’affermazione eccessiva e ha intonato «Bella ciao». In realtà il rapporto di don Gallo con Siri – uomo di destra ma popolarissimo tra gli operai delle fabbriche, per esempio, perché molto attento ai posti di lavoro – era assai complicato. È vero che nel luglio del ’70 Siri rimuove Andrea dalla chiesa del Carmine, promuovendolo, per via delle sue omelie che indignavano l’alta borghesia residente. Però Siri non lo punì; don Gallo non fu mai punito dalla curia perché lui ha sempre predicato l’obbedienza alla madre Chiesa, richiamandosi proprio ai principi fondativi del cattolicesimo. Mentre don Baget Bozzo, la voce di destra della Chiesa, fu sospeso a divinis, don Gallo, la voce di sinistra, non venne mai punito. Perché lui non si è mai candidato alle elezioni e non è mai uscito dal cerchio della Chiesa. Andrea non era un prete contro, era un prete per.