Vescovo, pacifista, antimilitarista, in prima linea accanto a operai e sfrattati in lotta per il lavoro e per la casa e ai migranti albanesi che sbarcavano sulle coste pugliesi. Tutto questo è stato don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi.

Ieri, a 25 anni dalla sua morte (20 aprile 1993, a 58 anni), papa Francesco gli ha reso omaggio, con una visita di mezza giornata ad Alessano (Lecce) – dove è nato e dove è sepolto – e Molfetta, dove oggi Pax Christi svolge la sua assemblea nazionale.

NUOVA TAPPA DEL percorso, avviato da Bergoglio, di «riabilitazione» e valorizzazione di quei preti scomodi e di frontiera messi all’angolo e guardati con sospetto dalla Chiesa romana dei loro tempi: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani (20 giugno 2017 a Bozzolo e Barbiana), il mese prossimo don Zeno Saltini (Nomadelfia il 10 maggio), ieri don Tonino Bello. Il quale, se non subì l’ostracismo a cui vennero sottoposti gli altri tre, tuttavia fu considerato un vescovo che parlava e agiva un po’ troppo fuori dal coro dai gerarchi ecclesiastici, insofferenti alla sua «Chiesa del grembiule», «l’unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo», scriveva Bello, che rinunciò a insegne e titoli («liberarsi dai segni del potere per dare spazio al potere dei segni») e volle essere chiamato, anche da vescovo, non «monsignore» ma solo don Tonino; e da alcuni settori del potere politico e militare, con i quali più volte si scontrò sulla guerra, sugli armamenti, sull’obiezione di coscienza al servizio e alle spese militari.

È stato «un pastore fattosi popolo», lo ha ricordato ieri papa Francesco, durante la messa al porto di Molfetta, davanti a 40 mila persone. Un popolo non categoria sociologica, ma costituito di impoveriti, senza casa – che spesso il vescovo di Molfetta accoglieva nel palazzo episcopale -, disoccupati, migranti. «Don Tonino ci richiama a non teorizzare la vicinanza ai poveri, ma a stare loro vicino», ha detto il papa ad Alessano: sia di monito alla Chiesa, «di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda».

POI IL SUO IMPEGNO NEL sociale e per la pace e la giustizia: «Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro», ha sottolineato Francesco. «Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe».

Un impegno che si manifesta già alla fine degli anni ’70, quando è parroco a Tricase: fonda la Caritas, promuove l’Osservatorio sulle povertà. Nel 1982 è vescovo di Molfetta, tre anni dopo presidente di Pax Christi, successore di monsignor Luigi Bettazzi. Interviene contro la militarizzazione della Puglia – dal mega poligono di tiro che avrebbe sottratto migliaia di ettari di terra ai contadini e agli allevatori della Murgia, all’installazione degli F16 a Gioia del Colle – e marcia a Comiso contro gli euromissili; attacca le politiche di riarmo di Craxi (subendo le bacchettate del cardinal Poletti, presidente della Cei) e sostiene la campagna «Contro i mercanti di morte», che nel 1990 otterrà la legge 185 sul commercio di armi; in diocesi accompagna le lotte di cassintegrati, disoccupati e sfrattati.

NEL 1991 L’IRAQ DI Saddam Hussein invade il Kuwait e gli Usa, insieme agli alleati occidentali, bombardano Baghdad in diretta tv. Tonino Bello scrive ai parlamentari perché non approvino l’intervento armato e ipotizza di «esortare direttamente i soldati a riconsiderare secondo la propria coscienza l’enorme gravità morale dell’uso delle armi», come ripete anche davanti alle telecamere di Samarcanda di Michele Santoro. Arrivano i rimproveri di ecclesiastici militaristi e di politici patriottici. Ma tira dritto. A dicembre 1992 è a Sarajevo, sotto le bombe, insieme a cinquecento pacifisti organizzati dai Beati i costruttori di pace di don Albino Bizzotto.

Intanto in Puglia arrivano le prime navi con migliaia di albanesi, che il governo rinchiude nello stato di Bari. Don Tonino è sui moli, ad organizzare l’accoglienza. E il saluto di papa Francesco – che è anche un monito all’Europa -, prima di rientrare in vaticano, è per la Puglia, «che Don Tonino chiamava “terra-finestra”, perché si spalanca ai tanti Sud del mondo»: che «il Mediterraneo non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente».