Genova 2001, da un lato la lotta e l’affermazione che «un altro mondo è possibile», dall’altro la feroce repressione. Vent’anni dopo, esiste una società civile internazionale consapevole che le battaglie di allora hanno trovato riscontro nella realtà. Alcune idee del movimento altermondialista sembrano persino accettate dai governanti, anche se l’aspetto repressivo dei poteri in carica si è accentuato. Si puo’ parlare di una vittoria? Lo chiediamo all’economista Dominique Plihon, membro del consiglio scientifico di Attac e ex portavoce.

«Un successo? Il bilancio va sfumato. Da un lato, il movimento altermondialista si è diffuso, ha avuto un’influenza sulla società globale, ha permesso una presa di coscienza critica sul capitalismo mondializzato, sulla finanziarizzazione dell’economia, sull’indebolimento della democrazia, come si vede dall’avvento di regimi autoritari, dal Brasile all’Ungheria e alla Polonia, agli Usa di Trump. Ci sono stati passi avanti positivi per l’organizzazione di nuove forme di coordinamento. La crisi del 2008-9 è stata una crisi globale del capitalismo, non solo finanziaria ma anche sociale, con l’aumento delle ineguaglianze, una crisi ambientale, il crollo della biodiversità, tutte cose da tempo denunciate come conseguenze del capitalismo finanziario. Ma non per questo siamo riusciti a cambiare i rapporti di forza. Le élites economiche multinazionali sono molto forti e oggi influenzano i politici, possiamo prendere l’esempio della Francia, con Hollande e Macron. Ma ci sono lotte molto forti in America Latina e altrove, in Cile per le donne, in Brasile per la difesa dell’Amazzonia, per esempio».

Quali sono le grandi linee della storia del movimento altermondialista?
L’altermondialismo non è nato dal nulla, ma dalla tradizione delle lotte sociali dei movimenti per l’emancipazione, per i diritti fondamentali, per il lavoro, le donne, i giovani. Una tradizione nata con la rivoluzione industriale, poi cresciuta con la decolonizzazione dagli anni ’60 e la lotta terzomondista, in seguito arricchita dai movimenti dei “senza” (sans papiers, sem terra ecc.). L’altermondialismo è l’erede di questo ma anche della tradizione marxista, dell’analisi del movimento operaio internazionale. Ci sono state rotture con alcuni aspetti della tradizione marxista, a cominciare dall’idea di partito unico. Oggi, c’è rispetto per le differenze, per le storie diverse nelle varie regioni del mondo, c’è la riflessione su altre forme democratiche, è stata rinnovata l’analisi marxista del capitale, introducendo la questione femminile, quella climatica, le rivendicazioni si sono ampliate. C’è stata l’influenza del pensiero di Gramsci, della lotta ideologica primordiale, che ci dice che altri mondi sono possibili. Il nostro ruolo è di costruire dei contropoteri, che si moltiplicano per indebolire il potere dominante: di qui, per Attac l’importanza dell’educazione popolare, per prendere coscienza dell’alienazione. E dell’azione cittadina contro i profittatori della crisi: qualche giorno fa, Attac ha colorato di nero le vetrate della Samaritaine, il grande magazzino appena riaperto di proprietà del miliardario Bernard Arnault, per denunciare un capitalismo che manipola la società, distrugge i posti di lavoro, evade le tasse a oltranza. La disobbedienza civile è promossa per non applicare leggi scellerate, anche se sono state votate dal Parlamento, come le proteste italiane contro le leggi di Salvini sugli immigrati.

Come è cambiata la lotta?
In occasione di G7, G20, Consigli europei sono stati organizzati a lungo dei controsummit, come a Bayonne nel 2019 in parallelo al G7 di Biarritz. Ma i governi e i paesi ospiti cercano di renderli impossibili, attraverso una repressione sempre più forte. Cosi’, dobbiamo adattarci alle sfide attuali. Oggi, razzismo, sessismo, lotta per il clima, migranti, donne, sono tutti assi dove dobbiamo essere presenti, è la convergenza delle lotte.

Cosa ha cambiato il Covid?
Consideriamo che la pandemia sia la conseguenza di una crisi globale legata al capitalismo finanziario mondializzato, della crisi ecologica, della biodiversità. La crisi sanitaria – e ce ne saranno altre – è una conseguenza endogena dello sregolamento dell’ambiente creato dal capitale. La diffusione nel mondo intero è legata al capitale mondializzato, ai trasporti e allo spostamento estremamente rapido di merci e popolazioni. Di qui la nostra battaglia per la soppressione dei brevetti sui vaccini, perché tutti possano essere curati senza pagare le multinazionali.

La strada è stretta per non cadere nel nazionalismo e nel particolarismo, dal momento che l’universalismo sembra sfumare dietro una somma di battaglie e di esigenze di affermazioni identitarie?
Il rischio c’è, ma mai Attac è stata per la chiusura delle frontiere, per bloccare le popolazioni, non è nei nostri geni. Non protezionismo, ma protezioni, restaurare la sovranità alimentare, sanitaria. Lo vediamo in Europa, che si è scoperta troppo dipendente dalla Cina anche per le materie prime dei medicinali. La sovranità non contraddice la solidarietà internazionale, l’altermondialismo è risolutamente internazionalista. A Attac abbiamo avuto una crisi interna su questo fronte anni fa, ci siamo battuti contro una linea sovranista-nazionalista e abbiamo vinto contro gli anti-europeisti, per una Ue solidale, non ultraliberista