Tedesco da parte di padre (è nato a Bühl), francese da quella di madre, Dominik Moll (1962) ha studiato cinema a New York e a Parigi, alla Fémis, lavorando poi come assistente tra gli altri di Laurent Cantet, fino all’esordio con Intimité (1994). In questo suo settimo lungometraggio ritrova l’equilibrio formale e di scrittura che caratterizzavano alcuni suoi film precedenti come Harry – Un amico vero (2000) col quale si è affermato internazionalmente e Due volte lei -Lemming.

Cosa l’ha attratta in questa vicenda? Rispetto alla cronaca da cui tra ispirazione la sua regia sceglie piuttosto una dimensione esistenziale.

Mi interessava esplorare in che modo un poliziotto può diventare ossessionato dal un crimine su cui sta lavorando – specie se questo non ha soluzioni – e come il «fantasma» della vittima entra nella sua intimità. Questo caso poi è un femminicidio, come tale, visto che si tratta quasi sempre di uomini interroga chi investiga, pone domande anche molto scomode alla loro mascolinità. Come si confrontano con questa violenza, quanto potrebbe riguardarli? Non ho mai pensato a una ricostruzione «fedele» della cronaca, mi piaceva l’idea di tradire un genere quale è il poliziesco tanto utilizzato, in una dimensione quotidiana.

In che senso?

Volevo essere vicino alla realtà degli investigatori, la cronaca se vogliamo piuttosto qui che nel fatto in sé. La polizia giudiziaria come la vediamo nelle serie televisive o nei telefilm tende a essere sublimata, sono tutti eroi o cattivi. A me interessava invece il quotidiano che non è spettacolare, è fatto di momenti noiosi e intoppi banali come una stampante che non funziona.

La mascolinità che trova diverse rappresentazioni nel corso della storia, e viene appunto interrogata dall’omicidio commesso pur essendo una questione centrale viene tradotta nella scrittura, nei personaggi.

Non mi interessano i film a tesi, che devono dimostrare qualcosa. La violenza che appartiene a una certa mascolinità qui viene espressa in diversi modi e comportamenti, come chi essendo un poliziotto risponde con la violenza o abusa del proprio potere. Tutto però viene evocato, non amo le posizioni nette preferisco lasciare spazio alle domande e renderlo attraverso una narrazione. Credo che sia importante e anche al di là del film costruire un ascolto, gli uomini dovrebbero imparare a ascoltare.