Sulla carta, sono circa 82 milioni i cittadini messicani con diritto di voto, attesi all’appuntamento con le urne domani. Per le elezioni di medio termine, potranno scegliere 500 deputati del Congresso, i governatori di 9 stati, e i sindaci di circa 900 comuni. Secondo le previsioni, la destra del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) dovrebbe confermarsi come prima forza e mantenere la maggioranza semplice alla Camera, dove attualmente ha il 48%. I sondaggi dicono che potrebbe ottenere tra il 32% e il 35%, ma in più ci sono i voti del Partito Verde, alleato in 250 su 300 distretti. Secondo dovrebbe arrivare il Partito Azione nazionale (Pan), sempre di destra. La “sinistra” del Partito della rivoluzione democratica (Prd) non sembra poter capitalizzare la crisi politica in cui versa il governo di Enrique Peña Nieto (Pri). E nei 17 stati in cui non si eleggono governatori, ma si vota per i deputati, il Prd ha perso mordente.

Determinante sarà, però, il «partito» del boicottaggio, mentre quello del narcotraffico, trasversale a tutti gli schieramenti ha già intonato il suo lugubre canto. Una ventina di candidati e coordinatori elettorali sono stati uccisi negli stati in cui più forte è l’intreccio tra mafia e politica. All’inizio di marzo è stata ammazzata Aide Nava Gonzalez, la pre-candidata del Prd ad Ahuacuotzingo, nel Guerrero. Accanto alla testa mozzata della quarantunenne, c’era un messaggio rosso sangue: «Questo succede a chi non si vuole allineare». L’autopsia ha stabilito che la donna è stata ferocemente torturata e che le è stata mozzata la testa mentre era ancora viva. Un anno prima, il marito, anch’egli del Prd, era stato ucciso davanti a lei. L’ultimo a perdere la vita sotto i colpi dei narcos è stato Miguel Angel Luna, candidato al parlamento del Prd, ucciso il 3 giugno. Altri ammazzamenti hanno tolto di mezzo esponenti del Pri e del Pan. Il 15 maggio, durante un comizio elettorale, è stato ucciso Enrique Salcedo, candidato a sindaco di Yurecuaro, sulla frontiera tra Michoacan e Jalisco. Lì agisce il cartello Jalisco Nueva Generacion – allenato, secondo molti analisti, da gruppi della Cia e paramilitari colombiani. Salcedo era un leader delle milizie popolari di autodifesa. Si presentava per il Movimento di rigenerazione nazionale (Morena), una formazione di sinistra sorta da una scissione del Prd. La guerra sporca delle mafie si unisce a quella delle forze di repressione, polizia e esercito, che spesso regolano i conti con l’opposizione sociale con il pretesto della lotta al narcotraffico.

Movimenti, sindacati e organizzazioni sociali invitano al boicottaggio. Chiedono riforme strutturali e un cambio di indirizzo vero. Negli ultimi giorni, diversi centri dell’Istituto nazionale elettorale (Ine) sono stati attaccati con molotov oppure occupati. Negli stati di Veracruz, Oaxaca e del Chiapas, 16.000 schede elettorali sono state bruciate. Nella città di Peto (Yucatan), scontri tra gruppi di giovani e militanti della destra hanno provocato due morti e diversi feriti. Sui muri compare sempre più spesso la scritta «Ya me cansé», «mi sono stufato». Uno slogan che riprende l’infelice frase pronunciata dall’ex Pm del caso Ayotzinapa durante una conferenza stampa sulla vicenda dei 43 studenti di Iguala, vittime dell’attacco di polizia e narcotrafficanti. Stufo delle domande di parenti e attivisti che rilevavano le incongruenze nella versione ufficiale della scomparsa, il pm aveva tagliato corto.

I movimenti avevano allora rispedito al mittente la frase: che ben racchiude il sentimento generale contro le politiche neoliberiste di Peña Nieto e il sistema vigente in Messico, impermeabile a un vero cambiamento. Intanto, continua lo sciopero dei maestri. Nel Guerrero, oltre 80 villaggi si preparano a sabotare le elezioni. Di solito, l’astensione in Messico supera il 60%. Questa volta, i numeri potrebbero essere superiori.