Nel giorno in cui Beppe Grillo ha conquistato i palcoscenici mediatici tanto odiati con qualche battuta a effetto su Hitler, Stalin, Schulz e Angela Merkel, mentre Silvio Berlusconi gli contendeva invano la «marcia su Roma», la piazza romana dei movimenti è apparsa, al confronto, un’oasi di tranquillità e buonsenso. Non sfonderà per questo gli schermi e le prime pagine dei giornali, eppure è stata l’unica, nel linguaggio sopra le righe della campagna elettorale, ad avanzare richieste precise e porre le domande giuste ai palazzi sempre più chiusi e autocentrati della politica: che ne sarà del referendum sull’acqua pubblica e i beni comuni con la nuova ondata di privatizzazioni alle porte? Cosa accadrà alle migliaia di persone costrette giocoforza a occupare una casa una volta che sarà approvato l’articolo 5 della legge Lupi che proibisce loro di allacciare l’acqua e l’energia elettrica? Su cosa punterà le sue risorse il governo Renzi, sulle trivellazioni petrolifere o sulle energie rinnovabili? È possibile una politica dei rifiuti che non contempli sempre e solo inceneritori?

Questioni concrete, ambientali e sociali, che incidono direttamente sulle vite delle persone e coinvolgono territori già devastati da decenni di incuria e speculazioni, ma fuori da un’agenda politica che ormai da anni non tiene conto degli umori delle piazze e delle richieste dei movimenti, persino le più ragionevoli. Anche la manifestazione di ieri rischia di rimanere inascoltata. Nella migliore delle ipotesi, sarà consegnata al folklore mediatico dei cortei pacifici e colorati, lo specchio rovesciato di quello dello scorso 12 aprile, che ha conquistato gli onori delle cronache per gli scontri nelle vie della Dolce vita e una ragazza calpestata come uno zainetto senza per questo che, ancora una volta, si discutessero le questioni che poneva: ancora una volta la casa, e poi le grandi opere e lo sfruttamento del lavoro, questione centrale oggi in Italia e in Europa.

C’è poi una questione più generale: l’austerità che sta strangolando il sud del continente. Su questo le forze politiche che si oppongono ad essa hanno l’obbligo di dimostrare che fanno sul serio. È questo il loro compito principale ed è su questo terreno che si gioca il loro consenso.