All’inizio, il libro Hotel Grande A (uscito in Italia per La Nuova Frontiera Junior, con la traduzione di Anna A. Patrucco Becchi) doveva essere solo un film e lo scrittore olandese Sjoerd Kuyper si era messo di buona lena a scrivere la sceneggiatura. «Avevo un problema – confessa – Non riuscivo a decifrare bene Kos, il ragazzino-personaggio principale. Così ho deciso di immaginare un suo diario. Serviva solo per conoscerlo meglio, ma poi è diventato il nucleo del romanzo. Questa genesi spiega anche il tono comico, i dialoghi veloci e la fine della storia divertente, quasi incredibile (almeno per un romanzo). Inoltre, quando con la regista decidemmo di lavorare insieme al film, andammo a fare un sopralluogo sulla spiaggia vicina al villaggio dove vivo. All’improvviso, scorgemmo un piccolo hotel bianco, solitario, in cima a una duna di sabbia. Ci siamo subito detti: ’La storia ancora non esiste, ma il posto che la ospiterà c’è già! Quella notte, nella mia testa, il candido albergo si riempì di gente e vita».
Sjoerd Kuyper, finalista al premio Strega Ragazzi 2018, è in tour italiano per il circuito di librerie indipendenti Cleio, nella settimana di Io leggo, e sarà a Roma oggi, per un incontro pubblico nel pomeriggio presso la libreria Centostorie, insieme a una classe di Tor Bella Monaca. Parlerà di Hotel Grande A, di come il ragazzino Kos e le sue sorelle sopravviveranno inventandosi un futuro, una volta rimasti soli. Proveranno, infatti, a gestire quell’albergo di famiglia, a modo loro.

«Hotel Grande A» non è leggiadro, nonostante lo stile narrativo e le sue gags da film muto: parla di morte di genitori, di doversela cavare a partire da sé, di paure. Non è una storia troppo dura?
Un romanzo offre ai bambini l’opportunità di immergersi – in maniera protetta – nelle esperienze più crudeli dell’esistenza. Si identificano con i personaggi, piangono per la madre morta, ma quando chiudono il libro, la loro madre è viva e vegeta. È un buon esercizio: aiuta a prendere le misure, ad abituarsi a essere nel mondo. Resta il fatto che non voglio insegnare il cinismo ai piccoli lettori e la storia, pur se non necessariamente finirà in modo fiabesco, almeno si aprirà alla speranza. Nel mio ultimo romanzo, Bizar, affronto le crisi bancarie del 2000, il femminismo, la filosofia di Schopenhauer, i temi dell’immigrazione, Amleto, l’utopia ricercata dai bambini (senza successo), la morte stessa di un bambino, l’impazzimento che ti afferra quando tu sei sano di mente in un mondo completamente folle. In breve, scrivo sulla vita.

Non crede che il carattere del protagonista Kos abbia qualche tratto in comune con l’audacia tutta nordica di Pippicalzelunghe?
No, non penso sia così. Kos si colloca esattamente all’opposto di Pippicalzelunghe. Lei è spavalda, sicura di poter fare qualunque cosa, mentre lui nutre sempre dubbi circa le sue capacità. Ci prova ugualmente, in nome del grande amore che sente per il padre (e per la madre: entrambi non ci sono più). In questo senso, è più coraggioso di Pippi: lei non vede ostacoli, lì dove Kos ne percepisce invece numerosi».

Lei è sempre stato contiguo alla poesia, pubblicando per un pubblico adulto. Cosa l’ha condotta verso la letteratura per ragazzi?
Non ho mai cambiato lettori. Ho iniziato come poeta per adulti e ho continuato a scrivere versi (per addomesticare il mio lato cinico, spaventato dall’idea della mia scomparsa e degli altri). Ma quando ho scoperto quanta felicità mi offriva la scrittura per l’infanzia, l’ho scelta come compito principale della mia vita. Ora ho compiuto 67 anni. La poesia si riaffaccia prepotentemente, devo ammetterlo, ma non smetterò mai di inventare storie per lettori più giovani. Gli adulti leggono con forchetta e coltello, i bambini leggono con le mani, desiderosi di ingoiare tutto quel che c’è nel loro piatto / libro.

Crede che le nuove generazioni possano riavvicinarsi in qualche modo al piacere di sfogliare le pagine?
A volte dispero, ovviamente. Ma ho scoperto un insegnante che parla molto con i suoi studenti. Li conosce bene, dà loro dei libri da leggere in cui possano riconoscersi nella storia. E funziona davvero. Prima bisogna portare la letteratura verso i bambini e quando hanno scoperto la magia dei libri e della lettura, condurre i bambini verso la letteratura. Altrimenti, smetteranno di leggere proprio quando ne avranno più bisogno.

Qual è la sua routine, il suo rapporto quotidiano con la scrittura?
Quando sono a casa, vado nel mio piccolo studio nel retro del mio giardino, con al seguito un litro di caffè decaffeinato, alle 9 del mattino. Lavoro fino alle 13. Poi pranzo, mi vesto e riprendo a scrivere fino alle 16. A quel punto, il bar preferito del mio villaggio ha aperto e allora vado lì per bere un caffè vero e discutere di politica locale e internazionale. Sono l’unico «pensatore» con idee di sinistra e affino il mio pensiero con «amichevoli» personaggi di destra. Ma chi scrive per l’infanzia non può che trovarsi a sinistra. Due ore dopo, torno a casa per continuare a lavorare, con un po’ di vino. Cena, letture e calcio in tv.

Ha una favola preferita, una sua lettura che ricorda?
Direi Barbablù. Ai bambini piacciono le storie terribili. Provano gioia nel rabbrividire. E vogliono che tutto sia collocato in un paese lontanissimo e in un tempo remoto. A me colpiva sempre la domanda ansiosa della protagonista in Barbablù: «Sorella Anna, vedi qualcuno avvicinarsi?». Si ripete molte volte, rendendo il racconto forte ed emozionante. È un ottimo espediente narrativo.