L’immagine di Piazza Catalogna, a Barcellona, ieri alle 12, era molto diversa da quella, senza turisti né passanti, solo ambulanze e polizia, che ci avevano proposto giovedì i mezzi di comunicazione di tutto il mondo. A mezzogiorno in punto la sindaca Ada Colau aveva convocato i barcellonesi e i turisti che volessero esprimere il proprio dolore e il proprio rifiuto alla violenza a riunirsi proprio a pochi metri da dove aveva avuto luogo la tragedia meno di 24 ore prima.

 

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Schierati in fila, in un’inedita immagine di compattezza istituzionale, il re, il presidente Rajoy, la sua vice Saéz de Santamaría, il presidente catalano Puigdemont, la sindaca di Barcellona Colau, la presidente del Parlamento catalano Forcadell. E dietro, centinaia di migliaia di persone, che, subito dopo il minuto di silenzio di prammatica, hanno scandito no tinc por, non ho paura. In molti non sono riusciti a superare i rigorosi controlli di polizia e a raggiungere la piazza.

Emozione a fior di pelle, soprattutto per chi si è avvicinato al punto dove si è fermato il furgone ieri sulla Rambla: proprio in corrispondenza di un mosaico di Mirò per terra, 500 metri più verso il mare. Lì fin da ieri mattina, quando era stata riaperta, si era andato costituendo un piccolo altare con candele e fiori.

Anche la sindaca, Ada Colau, e alcuni suoi assessori si sono avvicinati per rendere un ulteriore omaggio simbolico alle vittime e ringraziare a voce tutti i presenti. Colau è stata la persona che più si è spesa in queste ore difficili con la sua presenza e le sue parole per dare un’immagine istituzionale vicina ed empatica. Né l’ingessato Puigdemont, che oltretutto è impegnato da mesi in una guerra senza quartiere contro il governo spagnolo, né l’assente Rajoy, che è arrivato a Barcellona solo in tardissima nottata di giovedì, più di cinque ore dopo i fatti, sono riusciti quanto la sindaca a trasmettere il calore di un messaggio di pace, tolleranza, dolore.

Era dal 1987 che Barcellona non viveva un attentato, e quell’anno era stata l’Eta a far saltare una macchina esplosiva davanti a un supermercato: 21 vittime, 45 feriti. Stavolta è stato diverso: il terrorismo di oggi non assomiglia a quello di allora se non per il dolore che causa. Un dolore che ha pervaso la città e tutta la Spagna, negli ambiti istituzionali, ma anche in quelli professionali e privati. A parte i partiti, il parlamento, e comuni in tutto il paese, ieri a Barcellona in molti posti di lavoro spontaneamente si sono organizzati momenti di raccolta, in corrispondenza con il minuto di silenzio delle 12. Solidarietà e mobilitazione di migliaia di cittadini che si sono riversati negli ospedali per donare sangue o per dare una mano come interpreti. Isabel Morello, che lavora nell’aeroporto di Barcellona, racconta che quello di ieri è stato il giorno più strano da quando lavora. «Tutti ci guardavamo in modo diverso, i passeggeri parlavano appena, nessuno si lamentava, nessuno chiedeva nulla, facce di circostanza. Sembrava un funerale, tutti a rispettare ordinatamente le code. Pareva ci fossimo tutti congelati, ma anche uniti. Sentivo come che tutti ci parlassimo e capissimo senza dover scambiar parola».

Ma dietro il dolore reale di molti cittadini e l’unità istituzionale di circostanza, lo scontro che serpeggia fra il governo catalano e quello spagnolo non si è sopito. A nessuno è sfuggito che giovedì sera la conferenza stampa di Rajoy ha seguito di un paio d’ore quella del presidente catalano. Il governo catalano, che ha alcune competenze di polizia, nonché un corpo di agenti, i Mossos d’Esquadra, ha organizzato un gabinetto di crisi con rappresentanti del governo spagnolo, ma Rajoy non ha invitato né i Mossos né il governo catalano alla riunione separata che ha tenuto col ministro degli interni Zoido e con la Policia Nacional. Il primo incontro del gabinetto di crisi congiunto alla presenza di Rajoy e Puigdemont si è tenuto solo ieri a metà giornata, dopo il quale per la prima volta, a quasi 24 ore dai fatti, sono comparsi assieme Puigdemont e Rajoy.

Anche se ufficialmente, fin dal primo giorno, la coordinazione fra i due governi è stata massima, come assicurano le fonti, la verità è che la tensione è alta da tempo a causa delle rivendicazioni indipendentiste catalane. Il governo spagnolo ha ostacolato come ha potuto nei mesi scorsi sia il rinnovo dell’organico dei Mossos (l’ultima volta a luglio, bloccando un concorso per 500 nuovi posti), sia le riunioni di coordinamento per la sicurezza, sia l’accesso ai dati di Interpol. Il primo ottobre Puigdemont vuole celebrare un referendum che Rajoy non ha intenzione di permettere, e l’11 settembre, festa nazionale catalana, si prevedono fuochi d’artificio. Non è chiaro come gli attentati influiranno sui prossimi eventi. l. t. b.