Il 7 maggio 2015 un incendio scoppia al Terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino. Le conseguenze sono gravi per il trasporto aereo, ma i più colpiti sono i lavoratori. Specie quelli che inalarono le sostanze nocive sprigionate dallo scoppio pare dovuto ad un condizionatore portatile.
Valentina Tanzini e Pamela Pelagalli quel giorno lavoravano come sempre nel negozio Dolce e Gabbana «Corner C», situato nell’area voli nazionali dell’aeroporto. Entrambe hanno da subito problemi respiratori. Che si prolungano anche quando l’intera aerea viene bonificata e riaperta.
«Da subito ho avuto problemi alla trachea – racconta Valentina – e la stessa cosa è successa a Pamela: una patologia grave che si è risolta solo dopo parecchi mesi». Valentina e Pamela decidono di denunciare un infortunio sul lavoro. Da quel momento inizia per loro una sorta di incubo. L’azienda contesta assenze e malattie e arriva addirittura ad offrire alle lavoratrici una ricollocazione in altre città, molto lontane per chi ha un bambino piccolo come Pamela: Capri, Verona o Milano.
Il braccio di ferro termina il 21 marzo 2017 quando alle due arriva la raccomandata che annuncia il licenziamento dal primo aprile.
La motivazione addotta dalla Dolce&Gabbana srl è la chiusura del punto vendita «determinata da una approfondita analisi degli ultimi esercizi, che hanno registrato un margine operativo lordo negativo a fronte del calo costante delle vendite concluse presso la boutique», «decidendo di procedere ad una semplificazione e riorganizzazione del proprio business, che prevede la definitiva chiusura della boutique».
Dolce&Gabbana nel 2017 hanno avuto un boom del fatturato salito a 1,3 miliardi, mentre la condanna in primo grado del 2014 per evasione fiscale (l’uso della società lussemburghese Gado) è stata annullata in Cassazione.
Il problema è che gli altri 4 lavoratori a tempo indeterminato del negozio erano già stati ricollocati in boutique vicine o comode per loro, solo Valentina e Pamela venivano penalizzate.
Entrambe hanno quindi deciso di impugnare il licenziamento.
Ieri è stata depositata l’ordinanza del giudice Irene Abrusci della sezione Lavoro del tribunale di Civitavecchia, competente per territorio.
Il ricorso ha avuto accoglimento totale: Dolce&Gabbana sono stati condannati a reintegrare le due lavoratrici, a pagare loro 12 mensilità arretrate e alle spese processuali.
Nelle otto pagine di sentenza la giudice confuta la motivazione addotta per la chiusura della boutique. Dall’analisi dei bilanci si evince come «il fatturato netto reale relativo al Corner era in aumento (870.746 euro nel 2015, 841.552 euro nel 2016 e 920.390 nel 2017) mentre il margine operativo lordo non è stato neppure «fornito nella memoria difensiva». L’andamento negativo del negozio è quindi stato una sorta di alibi indimostrato.
Il licenziamento di Valentina e Pamela, se pur non considerato discriminatorio, è comunque ingiustificato: «mancanza di veridicità e la pretestuosità della causale». La «manifesta insussistenza del giustificato motivo» ha portato la giudice a prevedere il reintegro, nonostante il Jobs act lo renda sempre più difficile.
“Si tratta di una sentenza molto importante perché Dolce&Gabbana è un’azienda molto grande che ha cercato di sbarazzarsi di due lavoratrici che avevano denunciato un infortunio sul lavoro legato alle conseguenze dell’incendio. Sono arrivati a chiudere il punto vendita pur di licenziarle. Ma il giudice li ha sanzionati con una sentenza esemplare”, spiega Pier Luigi Panici, avvocato delle due dipendenti.