Hic et nunc, qui ed ora, doyket. Questa la parola d’ordine del Bund, la potente Unione dei lavoratori ebrei di Russia, Polonia e Lituania, nata nel 1897 contro le discriminazioni antiebraiche. Antiassimilazionista, socialista, nel clima antisemita al tempo degli zar oltre a difendere i diritti del proletariato ebraico, per lo più confinato nella Zona di Residenza ed occupato nelle piccole fabbriche e nei laboratori dove lavorava sino a venti ore con paghe da fame, passò ben presto ad organizzare squadre di autodifesa e di combattimento clandestine.

I bundisti si scontravano con la polizia durante i pogrom, proteggevano le manifestazioni e quando parlavano in pubblico si presentavano con pattuglie di sicurezza a guardia delle porte e delle sinagoghe. Bundista era la giovane Anna Mary che, nel giugno del 1905, nel porto di Odessa prese la parola tra i marinai ammutinati dopo un contrasto tra i graduati inferiori e un ufficiale della corazzata Potemkin. I poliziotti non la interruppero avendo i cannoni della corazzata puntati addosso.

Quando cercarono di suscitare sentimenti antisemiti, due agenti vennero uccisi dalla folla. Negli anni che precedettero lo scoppio del ’17 il Bund clandestino aveva istituzioni culturali in lingua Yiddish, madre lingua che voleva elevare al rango di lingua nazionale. In yiddish diffuse i giornali La sveglia e

L’operaio ebreo, creò istituzioni di autogoverno contro il regime zarista e contro i pogrom e nella sua VI conferenza diede vita ad un gruppo armato speciale. A Kiev aveva un reparto di 150 operai e 100 studenti, a Riga uno di 200, a Zitomir 80 persone, che durante i pogrom divennero 350 munite di armi varie, a Kisinev 350.

È noto il peso della componente ebraica nel partito bolscevico, non altrettanto il fatto che buona parte degli ebrei rivoluzionari militassero dentro il Bund che col suo programma federalista e antiassimilazionista entrò però presto in conflitto col Partito Socialdemocratico che pur aveva contribuito a fondare.

Nel 1903 Vladimir Medem affermò rivolgendosi a Lev Trotsky, suo avversario «Quando si tratta di classificarvi, non potete certamente ignorare il fatto che voi appartenete ad una certa nazione. Voi vi considerate, ne sono sicuro, sia russo che ebreo».

«Vi sbagliate- rispose Trotsky- io sono socialdemocratico, questo è tutto». Lenin riteneva che la identità ebraica fosse cultura morta, per il Bund invece costituiva il punto di partenza della lotta rivoluzionaria. Doikeyt, lo slogan del Bund, è anche il titolo del volume di Massimo Pieri «Doikeyt, noi stiamo qui ed ora. Gli ebrei del Bund nella rivoluzione russa» (Mimesis editore), prefazione di Valentina Sereni, che racconta con una messe notevole di informazioni e documenti la storia degli ebrei di Russia, la funzione del Bund e il conflitto che per molti anni lo divise dai bolscevichi.

Il Bund nasce dopo due secoli di persecuzioni e odio antiebraico. Sotto gli zar gli ebrei venivano accusati di bassezza morale e perversione religiosa, se volevano essere sudditi della Russia dovevano pagare il doppio delle tasse.

Con Caterina II le sinagoghe erano indicate come «covi di odio anti cristiano» e nel 1817 Alessandro I chiese loro la conversione concedendo la terra a chi lo faceva. Nel 1850 fu proibito agli ebrei di indossare il vestito tradizionale, il caffettano, e di portare le peot. In questo clima nell’ottobre 1897 nasce il Bund che tenne il I congresso in una piccola casa a Vilna, 13 i partecipanti. L’anno dopo entra nel POSDR (partito operaio socialdemocratico russo) che si riunì a Minsk, dei nove delegati tre erano del Bund. «Una lotta comune dei proletari di tutte le nazionalità era una condizione necessaria per la realizzazione del socialismo, e i socialdemocratici ebrei si sentivano fortemente parte di questa casa comune» scrive Pieri.

Nel I convegno a Ginevra nel 1904 i bundisti chiesero una struttura federata ma il POSDR concesse l’autonomia tecnica in base alla quale il Bund poteva adottare metodi di agitazione adatti alla lingua e alla cultura degli ebrei. Secondo Lenin non si poteva partecipare al movimento rivoluzionario in quanto ebrei o in quanto armeni e le diverse entità etniche non contavano in quanto tali, come soggetto politico, ma per il solo fatto di essere proletari e lavoratori.

Spettava agli organi centrali del partito fare poi la sintesi dei comuni interessi. Il Bund nel suo IV congresso chiede il riconoscimento dell’autonomia nazionale anche in assenza di una base territoriale poiché non può prescindere dalla specificità ebraica che, sostiene, esiste sia nella società borghese e sarebbe esistita anche in quella socialista. Stalin nel saggio del 1913 «Il marxismo e la questione nazionale» mette sotto accusa l’idea di autonomia culturale negando che gli ebrei siano una nazione e sostenendo che la discriminazione degli ebrei non è un motivo sufficiente per mettere in discussione la solidarietà di classe. Di diverso parere il Bund secondo cui gli operai cristiani che impedivano loro di entrare nelle fabbriche o partecipavano ai progrom non erano compagni di lotta ma nemici da combattere.

Ciononostante con la rivoluzione del ’17 gli ebrei conquistarono per la prima volta la parità dei diritti civili. Nel congresso panrusso dei soviet fu adottato il punto di vista del Bund sul problema dell’antisemitismo e delle nazionalità. Nella guerra civile l’Armata Rossa fu l’unica forza che si oppose ai pogrom scatenati sulle masse ebraiche.

Tra il 1918 il 1920 più di 100.000 ebrei furono uccisi, molti vennero feriti e mutilati. Lenin definì gli ebrei «la nazione più oppressa e perseguitata» e si rivolse direttamente a loro in lingua jiddish. In Polonia il Bund ebbe un ruolo di primissimo piano nella rivolta del ghetto di Varsavia ma in questo caso venne sterminato dai tedeschi.

Ma ciò che maggiormente ci interessa sottolineare è come l’oscurantismo che avvolse l’Europa per secoli contro gli ebrei, continua ad essere ancora oggi la linea di azione dei paesi occidentali. Ai migranti che arrivano nel vecchio continente viene chiesto di aderire alle nostre leggi, religioni e cultura, in altre parole la loro assimilazione. Prepotenza e dominio nella storia del vecchio continente sono una costante che non smette mai di produrre i suoi nefasti effetti.