David Winkler è un meteorologo, affascinato dall’acqua in ogni sua manifestazione, e in primo luogo dal modo in cui si cristallizza quando cade dal cielo sotto forma di neve: uno spettacolo al quale ha potuto assistere un’infinità di volte e fin dall’infanzia, trascorsa ad Anchorage, in Alaska. Miope, allampanato, solitario, è pressoché incapace di sviluppare un qualunque rapporto umano che abbia le stimmate della continuità e della scoperta reciproca, e trascorre il suo tempo compilando bollettini e perfezionando i suoi studi di idrologia. C’è però una ragione, dietro la ritrosia e l’apparente anaffettività dalla quale sono scandite le sue giornate: quando era ancora bambino, David ha scoperto di possedere un dono inquietante, che rischia di somigliare pericolosamente a una maledizione. In sogno gli appaiono, con la nitidezza di dettagli della realtà più vera, eventi, spesso luttuosi, che devono ancora accadere. È stato uno di questi déja vu a fargli incontrare Sandy, la donna della quale si è innamorato e che per lui ha lasciato il marito, un tranquillo dirigente di banca; ed è stato un altro déja vu, terribile, in cui ha visto la figlia neonata Grace annegare nel corso di un’alluvione nonostante il suo disperato tentativo di condurla in salvo, a spingerlo ad allontanarsi dalla sua nuova famiglia e fuggire, con i soli vestiti addosso, fino all’isola sperduta dei Caraibi dove trascorrerà più di vent’anni, legandosi d’amicizia a Felix e Soma, una coppia di esuli cileni. Fino a quando il legame con la figlia più piccola dei suoi due ospiti – che ha ereditato da David la passione per la scienza – e l’acquisita capacità di cambiare l’esito delle sue premonizioni riporteranno il protagonista negli Stati Uniti, in cerca di Sandy ma soprattutto di Grace, con la segreta speranza che anche la sua fuga di tanti anni prima abbia cambiato il corso degli eventi, permettendo alla figlia di sopravvivere.
Questa, per sommi capi, la trama di A proposito di Grace (traduzione, molto buona, di Daniele A. Gewurz e Isabella Zani, pp. 350, euro 20,00), il romanzo di esordio di Anthony Doerr che ci viene proposto da Rizzoli dopo che l’autore è assurto a popolarità anche in Italia, grazie al premio Pulitzer 2015 conquistato con il successivo Tutta la luce che non vediamo. A colpire, se ci si ferma alla sinossi e non si approfondiscono le strutture narrative e gli elementi tematici profondi, è l’apparente, radicale differenza tra i due libri, che, insieme a due notevoli raccolte di racconti (The Shell Collector e Memory Wall) e al memoir Four Seasons in Rome, costituiscono l’intera produzione dell’autore, distribuita in un arco temporale di quindici anni.
Il romanzo premiato con il Pulitzer ruotava intorno al secondo conflitto mondiale, narrato attraverso le vicende di Marie Laure, sfollata dalla natia Parigi e cieca ormai da anni, e Werner, soldato tedesco esperto di circuiti radio, ed era costruito su due alternanze: quella temporale, tra il presente bellico e l’infanzia e l’adolescenza dei due protagonisti, e quella spaziale, tra una Francia resa inquieta dai presagi di guerra e una Germania che sprofondava progressivamente nel delirio nazista. A proposito di Grace, invece, è privo di qualunque coralità o profondità storica e sembra svolgersi in un tempo tutto privato, scandito dalle premonizioni di David Winkler, dai suoi pellegrinaggi, dalla fuga, dalla deriva e dal faticoso ritorno a casa. Gli eventi esterni – e in particolare il golpe cileno che ha portato all’esilio Felix e Soma – fanno nel migliore dei casi da sottofondo, e hanno spesso il carattere di un riempitivo, e considerazioni non diverse si possono fare per la descrizione del milieu caraibico (che rischia a tratti di sprofondare nel colore locale). Più interessante la scansione temporale, con una prima parte tutta in flashback rispetto a un presente narrativo che vede il protagonista in aereo, diretto dai Caraibi verso gli Stati Uniti, e una seconda lineare, che segue con puntualità gli spostamenti di David da un capo all’altro dell’America, in cerca della moglie e della figlia.
Se sul piano strutturale tra i due romanzi sembra esserci un abisso – ed è facile la tentazione di considerare A proposito di Grace come un primo tentativo, non sempre felice, di passare dal racconto a una narrazione di più ampio respiro, lungo un percorso che raggiunge la piena maturità con il premio Pulitzer –, su quello tematico e stilistico la continuità non potrebbe essere più lampante. È la rappresentazione della scienza, della sua magia e del suo impatto sul mondo dell’infanzia a costituire infatti il cuore non troppo segreto di entrambi i romanzi. Dato non certo casuale, se si considera che Doerr accompagna alla sua attività di narratore quella di recensore di volumi di argomento scientifico sul Boston Globe. In Tutta la luce che non vediamo, il centro narrativo era rappresentato dalle onde radio: era infatti la capacità innata di costruire radiotrasmettitori a sottrarre Werner alla vita di miniera cui era stato condannato il padre e a gettarlo tra le braccia dell’esercito nazista, ed era costruendo apparecchi radio in grado di trasmettere a migliaia di chilometri di distanza che il prozio di Marie-Laure si poneva in condizione di alleviare la propria solitudine, dedicandosi a programmi di divulgazione scientifica e musicale. E accanto alla radio, nel romanzo occupavano uno spazio significativo i libri, anch’essi legati a doppio filo al discorso scientifico, che si trattasse dei romanzi di Jules Verne in braille, regalati a Marie Laure dal padre, o delle mirabili tavole di Birds of America, capolavoro del naturalista e illustratore John James Audubon, che fanno la loro comparsa in alcuni punti topici del libro.
In A proposito di Grace, invece, si parla di acqua, soprattutto, e di insetti; mai di libri, perché i segreti della scienza sono tutti scoperti attraverso la paziente osservazione e l’annotazione minuta. Né vi è traccia di quel contrasto tra la scienza romantica e incorrotta, incarnata nelle opere di Verne o di Audubon, e la brutalità di un mondo che tende a ricondurre ogni umano progresso a una logica di annientamento, incarnata dal delirio tecnologico del nazismo, che rappresenta uno degli elementi portanti di Tutta la luce che non vediamo. Il fascino innegabile del primo romanzo di Doerr, che gli consente spesso di trascendere i limiti di struttura e toccare corde profonde, sta tutto nello sguardo trasognato con il quale il suo stravagante protagonista guarda il mondo, e in una lingua nella quale la precisione del dettaglio scientifico alimenta, anziché reprimere, un lirismo quasi sfrenato.
Basti pensare al modo in cui, sotto lo sguardo incantato di David, perfino il piatto Midwest nel quale si trasferisce con Sandy acquista le dimensioni del miracolo, o della rivelazione: «Sembrava che la luce portasse con sé una chiarezza lancinante: gli orli delle nubi, le foglie illuminate, le prime ombre che giocavano sotto gli alberi… l’Ohio brulicava di piccoli miracoli. Fermo là, certe mattine aveva la sensazione di poter scorgere l’architettura dell’intero pianeta, come un’immensa griglia sottesa a ogni cosa, da sempre assolutamente ovvia: il codice dell’universo, una matrice di luce». È in momenti come questi che A proposito di Grace attinge a quel romanticismo insieme trasognato e rigoroso nella ricerca del dettaglio che fa di Anthony Doerr una voce probabilmente unica nel panorama contemporaneo.