Dodici anni. Questa la condanna per Luca Traini, il militante della Lega che il 3 febbraio scorso a Macerata aprì il fuoco e ferì sei africani per strada. La Corte d’assise ha accolto tutte le richieste del pm Giovanni Giorgio, che aveva formulato l’accusa di strage aggravata dall’odio razziale. La pena complessiva richiesta era di 22 anni: 15 per la strage, 3 per l’aggravante razziale, 2 per il porto d’armi abusivo, uno per danneggiamenti, 6 mesi per esplosioni pericolose e altri 6 mesi per porto di munizioni in pubblico. Tutto scontato di un terzo per il rito abbreviato e le attenuanti generiche.

Prima, in aula, Traini ha tirato fuori alcuni fogli scritti in stampatello, con una grafia incerta e vagamente infantile. Una dichiarazione spontanea di pentimento, otto mesi dopo quello che è da considerare come un attentato terroristico a tutti gli effetti. Traini ha così chiesto scusa «alle persone che ho ferito. Ho capito di aver sbagliato».

L’attentatore di Macerata si è descritto come una persona dal passato difficile. L’omicidio di Pamela Mastropietro, «la cui notizia fu accresciuta dai mass media con particolari raccapriccianti», è stata poi la scintilla alla base della sua mattinata di follia e pallottole: «Il pensiero di colpire chi potesse essere uno spacciatore, un venditore di morte, era prevalente». Peccato che poi le sue vittime avessero tutte la pelle nera.

Traini, tuttavia, respinge ogni accusa di razzismo: «Ad oggi posso affermare dal profondo del mio animo che questo termine non mi è mai appartenuto». Nella sua arringa finale, l’avvocato Giancarlo Giulianelli ha sottolineato proprio questo passaggio: «La discriminazione per l’altrui criminalità non è discriminazione per l’altrui diversità. Non ha agito per odio razziale, lui ce l’ha con gli spacciatori». Parole che comunque non hanno convinto la Corte.