Mi sono candidato con L’altra Europa con Tsipras perché voglio fare una cosa impossibile, voglio fare una comunità paesologica al tempo dell’autismo corale. Chi vuole può tenersi i politici che ci sono. Sembra che il successo in politica sia basato sulla quantità di fango in cui ti sai girare. Ci sono almeno quaranta milioni di italiani che forse non hanno nemmeno sentito nominare la parola Tsipras. Tra loro tantissime persone la pensano come noi e dobbiamo andarle a trovare. Mi sono candidato perché non accetto che nella patria di Dante si dia credito a politicanti di ogni risma e si neghi in ogni modo l’idea che la parola di un poeta possa diventare pane comune.

Sembra che la democrazia sia fondata sui miserabili che devono eleggere altri miserabili. Ovviamente, parlo di miseria spirituale. Sono entrato nella lista Tsipras con la speranza che si possa costruire un altro clima. Un’Italia svelenita da pazienti esercizi di ammirazione. Un’Italia in cui le tante luci che ci sono non sono sottoposte a esercizi di diffidenza, come se la bellezza fosse una colpa.

La lista con Tsipras per me è un’occasione straordinaria non di difendere il nulla che è rimasto, né di restaurare le macerie, ma di creare uno spazio inedito e inaudito. Una nuova alleanza tra lo spirito contadino e l’era della rete. Da quello che c’è in mezzo, la modernità incivile e posticcia degli ultimi trent’anni, dobbiamo scappare in fretta. Non credo sia cruciale dichiararsi di sinistra e pensare a essere più a sinistra di altri. Non credo che l’avventura di questa lista si possa giocare sul cercare di ripiantare i peli nei pori che si sono chiusi. Dobbiamo aprirci e respirare, far volare il sogno di un’Europa antica e nuova, in cui si produce e si consuma, ma si comincia a stendere la pasta di una civiltà della poesia, una civiltà che nel mondo degli uomini non c’è mai stata. Civiltà della poesia significa proteggere le nostre verità, sentire la sacralità di tutte le cose appoggiate sulla terra tonda, dalle montagne alla carta di una caramella.

Il piano della politica, perfino il piano di una campagna elettorale, non deve procedere con parole meccaniche e preordinate. La lista L’altra Europa si rivolge a chi ci crede ancora nell’avventura umana, a chi pensa che dobbiamo partorire un altro mondo. E se c’è ancora giovinezza in Europa, se c’è ancora qualche brivido possibile, questo può arrivare dai margini, dalla Grecia, dal Mediterraneo. La politica della luce contro la fabbrica del grigiore della Merkel.

Dobbiamo mettere felicità in questa campagna elettorale, perfino un po’ di svagatezza. Veniamo da anni in cui la passione di distinguersi e precisare ci ha fatto cadere addosso un velo di tristezza e la politica non si fa con le passioni tristi. È bene che ogni candidato faccia sentire il suo carattere, le sue vocazioni più autentiche. Una nuova comunità politica non si costruisce livellando, uniformando, ma dando risalto alle specificità di ognuno.

La ricchezza delle liste mirabilmente costruite dai garanti ora non può essere avvilita da richiami a una linea rigida che non esiste. Questi richiami spesso vengono da estremismi chiassosi che nascondono una pigrizia intellettuale. Mi sento radicalmente ecologista e credo che al Sud si debba salvaguardare in ogni modo la bellezza che è rimasta, ma non posso seguire chi si è scandalizzato per la mia affermazione che la Lucania non è tutta devastata dal petrolio. Bisogna evitare altre trivellazioni e ridiscutere con molta severità sull’esistente, una discussione in cui la politica locale e nazionale lavori nell’interesse dei cittadini e non nell’interesse delle multinazionali. Mi sono candidato per difendere l’Italia interna, l’Italia dei paesi e delle montagne. E credo che questa difesa sia anche nell’interesse degli italiani che affollano le coste.

Dobbiamo chiedere i voti anche a chi non ha mai votato a sinistra, perché siamo dentro un’altra storia, perché non siamo un partito, ma una comunità costituente. Non andiamo in Europa per governare eseguendo uno spartito con strumenti che non abbiamo. Il nostro compito è spostare il baricentro della sensibilità dall’economia della moneta a quella degli affetti, dall’Europa dell’indifferenza a quella di un nuovo legame sociale. Nei giorni che mancano alle elezioni il compito è aprirsi all’impensato, celebrare la gloria della lingua, la passione contro le ingiustizie, la cura dei deboli. C’è un’Italia che vuole riconoscersi in noi. Siamo una borsa piena di belle cose, ma ci manca il manico, e il manico in questo caso non è un leader, ma l’idea che non siamo la lista degli estremisti, la lista degli intellettuali. Tsipras è un’avventura raffinata e popolare, una politica lucida ma anche emozionata ed emozionante. Ci vuole in queste settimane un prolungato esercizio di ascolto e attenzione. Bisogna andare in tutti i luoghi dell’Italia, bisogna calarsi nelle sue pieghe più inascoltate. Mi piacerebbe che il 25 aprile, il primo maggio oppure l’ultima domenica elettorale ci fossero mille comizi in contemporanea (e oltre ai comizi, passeggiate, parlamenti comunitari, concerti, feste). Ci vuole una trama fittissima di gesti affettuosi. Non siamo in competizione per essere meno peggio degli altri. Siamo in campagna elettorale per essere puri e intensi come gli elettori che ci voteranno. E non è possibile che la purezza sia solo a sinistra di Renzi.