Quando ormai è già sera Matteo Salvini sembra Neil Armstrong nel momento in cui mise piede sulla Luna: «E’ un primo grande passo per un’Italia più sicura e accogliente», dice il ministro degli Interni dopo aver visto il decreto sicurezza superare senza problemi anche alla Camera l’ennesimo voto di fiducia (336 contro 249) facendo così un passo importante – lui sì – verso la sua trasformazione in legge.

Tanto è l’entusiasmo, che il leghista non aspetta neanche il voto finale sul provvedimento, previsto per questa sera, per rilanciare: «La mia ambizione è lavorare nei prossimi mesi per una completa rivisitazione di tutte le norme che riguardano l’immigrazione», annuncia. Roba da far tremare i polsi a quanti fino all’ultimo hanno sperato di riuscire a cambiare, seppure parzialmente, il provvedimento in discussione a Montecitorio, una parte dei quali mentre l’aula procede al voto, manifesta fuori lanciando per protesta piccole ruspe giocatolo contro il palazzo. Poco prima, intervenendo in aula, era stato il deputato di +Europa Riccardo Magi ad accusare la maggioranza giallo verde di fare un uso improprio del mezzo meccanico: «Avete iniziato a usare la ruspa contro il parlamento», aveva scandito criticando il ricorso al voto di fiducia.

Per il via libera al decreto la giornata fila liscia senza riservare sorprese. Eppure verso l’ora di pranzo si sparge la voce che il drappello di deputati 5 Stelle critici verso il provvedimento avrebbe potuto rendere visibile il suo dissenso. Stando infatti alle voci che circolano, cinque di loro avrebbero dovuto votare contro la fiducia e altri sette sarebbero usciti dall’aula al momento del voto (alla fine solo uno non parteciperà al voto). Un gesto inutile dal punto di vista dell’esito finale (alla Camera la maggioranza è blindata), ma che comunque avrebbe rappresentato un segnale forte del malumore esistente nel Movimento. La decisione, che sarebbe stata presa lunedì sera al termine di una riunione alla quale avrebbero partecipato 19 deputati «dissidenti», se mai c’è stata davvero è però rientrata poche ore prima del voto, rendendo così ancora più in discesa la strada al decreto.

In attesa di capire come il ministro leghista intenda rimettere mano alle leggi sull’immigrazione, diventano legge le misure inserite nel decreto. Tra le più discusse c’è l’abrogazione della protezione umanitaria, la creazione di una lista dei Paesi di origine sicuri utili per accelerare l’esame delle richieste di asilo, ma anche una forte riduzione del sistema Sprar gestito dai Comuni e che in futuro sarà riservato ai soli minori non accompagnati e a quanti si saranno visti riconosciuto lo status di rifugiato. Tutti provvedimenti che a parere dei critici, tra i quali figurano anche molti giuristi e l’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, anziché creare «sicurezza» sono destinati ad aumentare situazioni di illegalità. Pareri dei quali il ministro degli Interni non ha però nessuna intenzione di tener conto più di tanto. «Non sono misure spot, ma interventi organici», ha detto ieri difendendo ancora una volta il decreto.

Entro stasera si dovrebbe si dovrebbe arrivare al voto definitivo, anche se il Pd ha già detto di voler fare ostruzionismo durante la discussione sui 146 ordini di giorno presentati. Un modo per rallentare il provvedimento che non servirà però a fermarlo.