C’è una nuova puntata su Novak Djokovic e il suo visto respinto dalla polizia di frontiera per l’ingresso a Melbourne per gli Australian Open. Quell’esenzione medica ottenuta dal serbo dalla federazione australiana – anche senza essersi vaccinato – sarebbe determinata dalla positività di Djokovic al Covid-19 il 16 dicembre (era già stato contagiato a giugno 2020).

Un nuovo elemento portato avanti dagli avvocati nella memoria difensiva presentata a una corte federale (domani la decisione sulla sua presenza in Australia) che apre un ulteriore capitolo e che rischia di essere il detonatore di guai per Djokovic. Infatti il campione di Belgrado, positivo secondo i suoi legali il 16 dicembre, ha partecipato a eventi pubblici in Serbia sia il 16 che il 17 dicembre. In particolare, Djokovic ha preso parte alla presentazione dei francobolli a lui dedicati dalle poste serbe. Nelle immagini recuperate dall’account Instagram di Djokovic c’è il numero uno al mondo in posa – senza mascherina – con i suoi tifosi. L’evento è presente sul profilo Instagram anche delle poste serbe, in data 16 dicembre.

Una delle ipotesi in campo è che Djokovic abbia scoperto di essere positivo al virus solo qualche ora dopo la comparsata alle poste serbe. Questa volta, nessuna comunicazione pubblica ai suoi seguaci, come avvenne per il suo primo contagio al pubblico dopo l’Adria Tour, il folle torneo da lui organizzato nel pieno della prima ondata, tra pubblico sugli spalti senza mascherina e atleti in posa con i tifosi senza alcuna restrizione sanitaria.

Ma in Rete ci sono anche le foto con Djokovic presente alla premiazione dei ragazzi dei Novak Tennis Center, a Belgrado. Mentre tre giorni prima il serbo era sugli spalti (e solo in alcune immagini con mascherina) della partita di Eurolega tra Stella Rossa Belgrado (di cui è tifoso) contro il Barcellona, in un palazzetto dello sport stracolmo. Forse, una delle occasioni del contagio. Un altro punto oscuro sulla vicenda di Djokovic potrebbe essere la documentazione sulla sua positività al Covid-19, attestata da un solo medico indipendente (servono due pareri). Insomma, servono le prove, anche per capire dove è saltata la catena di comando che ha portato il serbo ad atterrare a Melbourne con un visto irregolare, secondo il governo australiano.

Intanto continua il soggiorno del serbo nell’hotel di Melbourne che ospita i rifugiati, tra ordinazioni di cibo gluten free, esercizi per mantenersi in forma grazie anche ad alcune attrezzature che gli sono state recapitate dall’ambasciata serba, un laptop e una sim card per tenersi in contatto continuo con i familiari. Respinta invece la richiesta di Djokovic di poter ottenere la presenza del suo chef personale e anche di potersi trasferire in altra struttura per gli allenamenti. Nel frattempo il suo team di legali è al lavoro sulla memoria difensiva, da cui verrebbe fuori che Djokovic sarebbe entrato in possesso dell’autorizzazione scritta per entrare nel paese australiano prima della sua partenza da Belgrado, senza l’indicazione di un periodo di quarantena obbligatorio.

Un asso nella manica degli avvocati, ma resta il pericolo del bando di tre anni in Australia, quindi senza poter partecipare all’Australian Open, uno dei tornei più importanti del circuito tennistico, vinto nove volte dal serbo.
Intanto continua la sfilata della politica nazionalista che si schiera a sostegno della posizione di Djokovic, questa volta tocca a Nigel Farage, leader del Brexit Party, che ha informato la stampa britannica di essere vicino al campione serbo e di essere in contatto continuo con la famiglia di Djokovic.