Non esiste un diritto a morire, «l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non può essere ritenuta incompatibile con la Costituzione» perché tutela i soggetti più deboli. Ma la legislazione italiana non contempla i casi in cui – com’è stato per Dj Fabo, aiutato a morire dal radicale Marco Cappato che per questo si trova sotto processo a Milano (l’articolo 580 del codice penale punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio) – una persona sia affetta da una patologia irreversibile e per le sofferenze che questa le comporta decida liberamente e consapevolmente di interrompere i trattamenti di sostegno vitale. I progressi della scienza medica impongono di aggiornare la legge penale. La Corte Costituzionale ha pubblicato ieri le motivazioni con le quali lo scorso 24 ottobre ha sospeso il giudizio di costituzionalità sull’articolo 580 del codice penale – richiesto dalla Corte di assise di Milano – dando un anno al parlamento per legiferare.

Una sentenza inedita, che nelle motivazioni è spiegata con l’esigenza di non lasciare un vuoto normativo. E contemporaneamente evitare «di lasciare in vita, e dunque esposta a ulteriori applicazioni, per un periodo di tempo non preventivabile, la normativa non conforme a Costituzione». I giudici hanno anche indicato al legislatore dove intervenire, insistendo sul fatto che la recente legge del 2017 sulla dichiarazione anticipata di trattamento deve anche prevedere il caso di un paziente che, come Dj Fabo, rifiuta la sedazione profonda perché non in grado di provocargli una morte rapida. Secondo Cappato «la Consulta ha chiarito ciò che abbiamo sempre sostenuto, cioè che, in determinati casi, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato. Smentendo la linea sia del governo Gentiloni che del governo Conte».