«Qui non si discute di un lugubre diritto di morte ma del diritto a essere aiutati a morire di mano propria e in modo dignitoso, senza difformità rispetto a chi può disporre della propria vita liberamente e può agire provvedendo da sé alla propria morte. Qui ci dobbiamo chiedere: è ancora suicidio la scelta di un congedo dalla vita di chi ha un corpo che si è congedato dalla persona, di un individuo che è scisso dal corpo? È davvero suicidio la decisione di separare il corpo dal proprio spirito, prigioniero di una oggettività organica inerte che fornisce soltanto sofferenza alla persona?».

Dovremo aspettare oggi pomeriggio per sapere se la Corte costituzionale formulerà un giudizio che in qualche modo risponda anche alle domande poste ieri dal prof. Vittorio Manes, uno degli avvocati difensori del radicale Marco Cappato, durante l’udienza riguardante l’eccezione di costituzionalità sollevata sull’articolo 580 del codice penale nella parte in cui vieta e punisce l’aiuto al suicidio.

LA CONSULTA INFATTI POTREBBE anche decidere di non decidere e rinviare la palla al legislatore, o lasciarla alle aule di giustizia, come ha chiesto l’avvocatura di Stato che (pur complimentandosi con il pool di avvocati coordinati da Filomena Gallo «per la delicatezza e il rispetto con cui è stato trattato l’argomento»), ha auspicato un pronunciamento di «inammissibilità o di manifesta infondatezza» della questione di incostituzionalità sollevata nel febbraio scorso dalla corte d’Assise di Milano davanti alla quale si svolge il processo a Cappato per l’aiuto al suicidio fornito a Fabiano Antoniani.

Come si ricorderà, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che è stato prosciolto comunque dall’accusa di istigazione al suicidio, si autodenunciò per il sostegno non negato al dj cieco e tetraplegico che da tempo chiedeva di essere aiutato a morire, e raccontò pubblicamente di aver accompagnato dj Fabo in una clinica svizzera dove l’uomo morì poi suicida il 27 febbraio 2017.

Un caso particolare, nel quale Cappato non ha preso parte direttamente al suicidio assistito di Fabo ma ha svolto il ruolo di «agevolatore», come ha spiegato l’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Coscioni. E se la scelta del dj «è strettamente contigua alla sfera più intima e incoercibile dell’esercizio della libertà costituzionale di rifiuto delle cure» riconosciuta dalla legge sul testamento biologico del 2017, l’effetto «palesemente incongruo» dell’art. 580 c.p. «è dunque di relegare l’autore di tale scelta in condizioni di totale solitudine, privandolo – ha proseguito Gallo – della possibilità di essere affiancato dai propri cari, siano essi familiari o soggetti altrimenti a lui legati affettivamente, in questo drammatico momento, a meno di non volerli gravare del rischio di incorrere in una sanzione penale. Si badi bene, la pronuncia di accoglimento qui proposta consentirebbe alle sole condotte di agevolazione materiale della volontà liberamente, consapevolmente e autonomamente determinatasi, di diventare non punibile».

LA NORMA CHE VIETA l’aiuto al suicidio, introdotta nel nostro ordinamento nel 1930 col Codice Rocco, di ispirazione fascista, è infatti «asfittica e obsoleta», come ha spiegato il professor Manes ricordando che l’art.580 c.p. «tutelava la vita come valore di interesse collettivo e sociale, non personale». Nella visione dell’epoca, «Stato-centrica», «la punizione contro chi aiutava gli aspiranti suicidi doveva rappresentare un esempio suggestivo per chi non sopportava i mali della vita». Per questo, ha concluso Manes, «nessuno vuole chiedere alla Corte un lugubre diritto a morire o di accogliere un liberismo sfrenato dove tutto è concesso, ma solo di rinunciare a un paternalismo irragionevole e cieco che omologa situazioni che non possono essere omologate, di non abbassare gli occhi, non trincerarsi dietro un freddo ostacolo procedurale, e di rinunciare a un paternalismo irragionevole e cieco, per accogliere un diritto al rispetto di chi accetta la vita a ogni costo come di chi consapevolmente decide per dignità di vivere come di morire e sceglie la morte come alternativa pietosa a una vita non più umanamente sopportabile».

PER IL MOMENTO, ieri i giudici della Consulta, dopo la relazione introduttiva del giudice Franco Modugno, hanno solo rifiutato la partecipazione in udienza delle tre associazioni che ne avevano fatto richiesta: il Movimento per la Vita, il Centrostudi Livatino e l’Associazione Vita è. Secondo la Corte, le tre organizzazioni che si sono autodefinite «a tutela del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale», «non sono legittimate a partecipare al giudizio» perché «non rivestono parte nel giudizio principale» e, ha spiegato il presidente Giorgio Lattanzi, «non sono soggetti terzi titolari di interesse qualificato».

Ieri sera davanti al Palazzo della Consulta in molti hanno partecipato ad un sit-in per attendere il pronunciamento nel merito della Corte, ma la decisione è stata rinviata ad oggi pomeriggio.