«Marco Cappato è stato iscritto nel registro degli indagati. Sarà ora la giustizia che renderà giustizia a Dj Fabo. Cappato si sta assumendo la responsabilità ed il rischio di un processo il cui esito potrebbe portarlo ad una condanna non lieve, ma tale responsabilità è stata assunta in modo consapevole». La segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, dà così notizia dell’inchiesta aperta dal pm di Milano, Tiziana Siciliano, in seguito all’autodenuncia presentata martedì ai carabinieri dallo stesso Cappato.

L’esponente radicale è indagato per aiuto al suicidio (articolo 580 del cp) di Fabiano Antoniani, il dj 40enne cieco e tetraplegico dal 2014 che ha chiesto l’aiuto del tesoriere dell’associazione Coscioni per mettere fine alla propria vita nella clinica svizzera Dignitas.

LA NOTIZIA AL MOMENTO è ufficiosa, e forse il fascicolo è stato aperto solo per atto dovuto. Cappato ancora ieri sera ha confermato di non aver «ricevuto alcuna comunicazione ufficiale». «Attendo – ha detto – che arrivi questo avviso di garanzia, sono pronto ad assumermi le mie responsabilità fino in fondo, nella speranza che qualcun altro si assuma le proprie responsabilità».

Il promotore della campagna «Eutanasia legale» spera – in continuità con la consolidata pratica radicale della disobbedienza civile – di essere processato. Perché, come ha riferito in un’intervista pubblicata martedì sul manifesto, vorrebbe poter dimostrare in un dibattimento pubblico che «anche attualmente i nostri dettati costituzionali di autodeterminazione e libertà individuale sono prevalenti rispetto alle disposizioni di legge» che vietano l’aiuto al suicidio. Si difenderà spiegando di aver «aiutato Fabo ad ottenere l’assistenza medica alla morte volontaria in un Paese in cui è consentito quello che dovrebbe esser consentito anche da noi».

SECONDO LE PRIME indiscrezioni, sarebbe intenzione del pm Tiziana Siciliano convocare Cappato nei prossimi giorni per interrogarlo alla presenza di un avvocato. L’articolo 580 che configura il reato possibile per l’apertura dell’inchiesta, si riferisce alla «istigazione o aiuto al suicidio». Probabilmente il caso di Dj Fabo – che ha scelto, non senza rischi, di trasformare il bisogno di mettere fine alle proprie sofferenze in una lotta politica combattuta pubblicamente – può fare giurisprudenza, in materia di suicidio assistito ed eutanasia legale. Tanto che, interpellato, il pm di Milano Francesco Greco aveva spiegato l’altro giorno che si tratta di «una storia complessa che presenta profili di rilievo sia in termini di principi generali che giuridici», «compresa la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di diritti».

NEL FRATTEMPO PERÒ L’ITALIA attende ancora – da troppi anni – una legge minima come quella sul testamento biologico. Che ieri, dopo tre rinvii, è stata di nuovo calendarizzata in Aula alla Camera, questa volta per il 13 marzo. Il testo, secondo quanto preannunciato dalla relatrice dem Donata Lenzi, sarà licenziato solo oggi dalla commissione Affari sociali, ancora in attesa dal 16 febbraio scorso dei pareri delle commissioni Bilancio e Giustizia. Ad imprimere un’«accelerazione» all’iter parlamentare è stato sicuramente il caso di Dj Fabo, il cui appello rivolto prima di morire anche al presidente Mattarella (che non ha mai risposto) è stato rilanciato ancora ieri nel sit in inscenato in piazza Montecitorio dall’Associazione Coscioni e dai Radicali italiani, in occasione della riunione dei capigruppo che poi ha finalmente fissato la data del 13 marzo.

CAPPATO HA RICORDATO che dieci anni fa l’allora presidente Napolitano rispose a Piergiorgio Welby sostenendo che «l’unico atteggiamento intollerabile, da parte delle istituzioni e del Parlamento sarebbe il silenzio». Oggi, come e più di allora, continua Cappato, «il nostro Paese è pronto per una legalizzazione dell’eutanasia. Perché la maggioranza disponibile a approvare l’eutanasia sarebbe la stessa che è anche a favore del testamento biologico». Basta non chiudere gli occhi davanti all’eutanasia clandestina che viene praticata comunemente e che dovrebbe essere debellata.