Senza esclusione di colpi. Senza lesinare una sola promessa. Ieri, da Catania, Berlusconi, con Musumeci annesso, aveva bombardato M5S con virulenza pari a quella che riservava agli onnipresenti “comunisti” vent’anni fa e aveva promesso ai siciliani questo mondo e anche l’altro. Oggi i 5S, con Cancelleri al traino, rispondono per le rime. Battono sul tasto Cosa nostra, sull’onda dell’ennesima inchiesta partita da Firenze. Di Battista accusa l’ex Cavaliere di aver mandato “messaggi alla mafia”, sia con il miraggio del ponte sullo Stretto sia dicendo che «si va in galera solo per reati di sangue». Ponte del resto promesso anche da Micari, il candidato del Pd che ha chiuso proprio lì la campagna elettorale, d’accordo il sindaco Orlando: «Immagino una Siclia che sia porta dell’Europa». Le promesse a cinque stelle sono più vaghe di quelle dettagliate dal sovrano d’Arcore, ma non meno fragorose. «Sarà il giorno della liberazione», galvanizza il suo popolo Di Maio. Per il momento l’unico ad aver tirato il sospiro di sollievo è Crocetta: «Aver terminato il mandato è una liberazione». Quanto a Cancelleri, coerente con «la linea del partito», giura che per prima cosa abbatterà i vitalizi.

Il corpo a corpo rivela quanto sia teso il testa a testa fra la coalizione di destra, che nonostante le svogliate smentite di Salvini è riporterà la stessa formazione su scala nazionale a marzo, e il movimento di Grillo, sempre orgoglioso della propria solitudine. In ballo non c’è solo il governo dell’isola, posta già appetibile, ma lo sprint in vista delle politiche. Se vincerà la destra, una quota forse decisive di elettori e di signori della clientela sparsi lungo tutta la penisola ne trarranno la conclusione che la meteora Renzi, sulla quale avevano puntato dando per spento re Silvio, è tramontata ed è ora di tornare a casa. Ma se invece a trionfare sarà il comico, vorrà dire che il suo Movimento può farcela nonostante una legge elettorale pensata per svantaggiarlo, e allora saranno i 5S a prendere la rincorsa.

Nei sondaggi Musumeci è in testa ma di 3 o 4 punti appena: troppo pochi per essere considerati significativi. La destra ha l’appoggio dei potentati che hanno piantato in asso Alfano lasciando lui e Renzi tanto scoperti da consigliare a entrambi di disertare la campagna elettorale. Quella Renzi preferisce farla a modo suo, senza nominare la Sicilia ma insistendo sul fronte delle banche per accreditarsi come il vero nemico dei poteri forti: «Il Pd vuole la verità. Manager e banchieri che hanno sbagliato devono pagare. Non è populismo, è giustizia». Ma, per quanto pesanti siano le clientele centriste ereditate dal partito azzurro, il voto d’opinione può fare la differenza e su quello nessuno osa scommettere.

A mischiare le carte in modo imprevedibile saranno anche altri fattori, tanto consoni al quadro nazionale da rendere impossibile ripetere l’eterno leit-motiv secondo cui «la Sicilia è un caso a sé e non riflette il quadro nazionale». Potrebbero votare per Musumeci, in funzione anti M5S, anche parecchi elettori del Pd. La corsa di Micari è finita prima di cominciare e se grande coalizione ha da essere a Roma dopo le elezioni di marzo, tanto vale cominciare subito a Palermo. Micciché, il ras forzista, non nasconde di sperarci. Se vincitore, Musumeci potrebbe trovarsi senza il 51% dei seggi. «Non dispero che dal gruppo di Salvatore Cardinale arrivi un aiuto», ammette Micciché. Cardinale: renziano di strettissima osservanza.

Il gioco del voto disgiunto, che assegna agli elettori il potere di indicare non solo un candidato ma anche un’opzione sulle alleanze e comunque di muoversi su un campo più ampio, potrebbe aiutare anche M5S. Uno dei principali elementi di timore, nel quartier generale azzurro è proprio che una parte dell’elettorato di Fava scelga il voto disgiunto appoggiando il Movimento.

Lo scontro per il terzo e quarto posto non è meno meno rilevante di quello per il governo, e per le medesime ragioni: l’impatto sulle elezioni nazionali. La possibilità che il candidato della sinistra, Fava, superi quello del Pd è sempre stata uno spettro temuto al Nazareno. Ma è diventato un incubo da quando esiste la possibilità che il presidente del Senato Grasso scenda in campo con la sinistra alle politiche. Un successo di Fava domenica renderebbe concretissima la minaccia del bis su scala nazionale.

Nel Pd le armi in vista del day after sono pronte: ieri Orlando ha detto chiaro che dopo il test siciliano bisognerà “discutere” sul candidato premier. Ma sono armi spuntate. Renzi a ritirarsi non ci pensa proprio, e non c’è modo né di convincerlo né di costringerlo.