Divisi fino a ieri da più di un motivo di conflitto – dai giacimenti di idrocarburi nel Mediterraneo orientale ai migranti che si rimpallano da sponda a sponda dell’Egeo – Grecia e Turchia sembrano oggi aver ritrovato la pace uniti dalla preoccupazione di fermare una possibile ondata di profughi in fuga dall’Afghanistan. Ieri il premier greco Kyriakos Mitsotakis e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si sono parlati per mezz’ora al telefono alla ricerca di una strategia comune che possa mettere al sicuro i rispettivi Paesi da un fiume di uomini, donne e bambini simile a quello visto con i siriani nel 2015. Alla fine entrambi si sono trovati d’accordo sulla necessità – già proposta dall’Unione europea – di sostenere i paesi vicini all’Afghanistan, in modo che gli afghani «siano il più vicino possibile alle loro case». Ma soprattutto non imbocchino la rotta che li porterebbe in Europa.

In realtà, se si fa eccezione per una sorta di risentimento nei confronti dell’Unione europea, dalla quale per motivi diversi si sentono usati, ben poco unisce i due Paesi, al punto che sia Atene che Ankara hanno già cominciato da tempo a mobilitare mezzi e risorse per arginare il possibile arrivo di profughi.

«Stiamo dicendo chiaramente che non vogliamo e non possiamo essere la porta d’accesso dell’Europa», ha spiegato il ministro della Migrazione greco Notis Mitarakis parlando alla televisione di Stato. Di più hanno fatto i colleghi di governo Michalis Chrysochoidis e Nikos Panagiotopoulos, titolari rispettivamente dei dicasteri della Protezione dei cittadini e della Difesa, che ieri hanno ispezionato il confine tra Grecia e Turchia lungo il fiume Evros per poi assicurare che le frontiere greche «sono sicure e impenetrabili».

Proprio quel tratto di confine terrestre, uno dei punti di passaggio per chiunque voglia raggiungere il cuore dell’Europa, è stato rafforzato nel 2020 con una barriera lunga 27 chilometri quando la Turchia minacciò di aprire i sui confini permettendo a milioni di rifugiati di uscire dal Paese. In seguito Atene ha rafforzato le misure di sicurezza aggiungendo una serie di telecamere capaci di spiare fino a 15 chilometri dentro il territorio turco, in modo da avere un minino di preavviso nel caso di movimento sospetti.

Da parte sua Ankara non è da meno. Dopo quello al confine con la Siria, Erdogan ha ordinato di accelerare la costruzione di un altro muro, questa volta al confine con Iran e Iraq dove ha anche schierato l’esercito in funzione anti profughi.

Ma sia la Grecia, che più in generale l’Europa, sanno bene che non saranno certo i muri a fermare i profughi se la situazione dovesse precipitare. Erdogan ha annunciato di voler trattare con i talebani ai quali certamente chiederà anche rassicurazioni circa la tenuta dei confini del Paese asiatico. Se così non dovesse essere il presidente turco, già sotto pressione per le elezioni previste nel 2023 e subissato dalle critiche di chi non condivide più la scelta di ospitare milioni di profughi, non esiterebbe un attimo ad aprire davvero le frontiere con Grecia e Bulgaria. E in quel caso ad arrivare in Europa non sarebbero solo gli afghani, ma anche i siriani e tutti coloro che ormai da tempo vivono la permanenza in Turchia come una detenzione non più sopportabile.