Alla scrittura della Divina Commedia e di altre opere, Dante associò anche l’attività politica. A volte l’esito dello scontro costringeva i perdenti all’esilio, come accadde a Dante. Ai suoi tempi l’impegno politico non era disgiunto dall’attività militare, cui prese parte contro Siena e Livorno, tenuta viva da una costante preparazione fisica. Oggi la chiameremmo formazione polisportiva, infatti è probabile che Dante praticasse il podismo, la scherma, il tiro con l’arco, l’equitazione e anche il gioco degli scacchi. Le tracce di questi sport si riscontrano in alcuni versi della Divina Commedia.

Negli anni dell’esilio a Verona, Dante assistette alla corsa del Drappo Verde, manifestazione podistica che fin dal 1208 si svolgeva nella città scaligera: «Poi si rivolse, e parve di coloro/che corrono a Verona il drappo verde/per la campagna; e parve di costoro/quelli che vince, non colui che perde» (Canto XV dell’Inferno, vv. 121-124). Dante in questi versi si riferisce al maestro di retorica Brunetto Latini, notaio, scrittore e politico a Firenze con il quale si ferma a parlare per poco, perché il politico fiorentino si trova nel girone dei condannati a correre sempre. L’arrivo di un altro gruppo che correndo alza la polvere, indica a Latini che la conversazione con Dante deve interrompersi per riprendere a correre. L’autore della Divina Commedia conosceva il significato della corsa, che a Verona colse nella sua essenza.

Anche il gioco degli scacchi era conosciuto e praticato da Dante Alighieri: «S’a scacchi o vero a tavole giocassi» scrive nel poemetto in sonetti Fiore, che il filologo Gianfranco Contini definì «creolo letterario tra francese e italiano, anzi indubitabilmente fiorentino». Gli scacchi sono presenti anche in questi versi del Paradiso: «Lo incendio lor seguiva ogni scintilla; Ed eran tante, che ‘l numero loro/ Più che il doppiar degli scacchi s’immilla» (Canto XXVIII, versi 91-93). Dante indica il numero degli angeli, così tanti fino a diventare più di mille, come a ripetizione moltiplicando i riquadri della scacchiera.

Nel XVI Canto dell’Inferno (versi 22-27), Dante colloca nel girone dei condannati tre politici fiorentini (Tegghiaio Aldobrandi, Iacopo Restucci e Guido Guerra) poco precedenti alla sua epoca. Sono persone dignitose con le quali Dante, su consiglio di Virgilio, si ferma a parlare, gli chiedono del declino politico di Firenze.
I dannati, mentre camminano sono costretti a roteare il collo dalla parte opposta a quella del corpo. Il poeta ricorre alla metafora delle prese dei lottatori dell’antica Grecia, usi a ungersi il corpo di olio e coprirsi di sabbia prima del match, per descrivere il movimento biomeccanico della rotazione del collo, una tecnica che conosceva bene e che gli derivava dalla probabile pratica della lotta greco-romana: «Qual sogliono i campion far nudi e unti/avvisando lor presa e lor vantaggio/prima che sien tra lor battuti e punti/così, roteando, ciascun il visaggio/drizzava a me, si che ‘contraro il collo/faceva ai piè continuo viaggio».