È finito agli arresti domiciliari Francesco Bellomo, ex giudice barese del Consiglio di Stato, docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura della Scuola di formazione giuridica avanzata diritto e scienza, salito agli onori della cronaca per l’incredibile storia riguardante la gestione delle borsiste iscritte alla sua scuola.

Gravissime le accuse presenti nell’ordinanza di arresto firmata dal gip del Tribunale di Bari Antonella Cafagna: maltrattamento nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, alle quali aveva imposto anche un dress code, ed estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista.

L’inchiesta partì dalla denuncia di una studentessa di Piacenza, ma ben presto si estese a Bari dove si trova una delle sedi della scuola Diritto e Scienza, ancora oggi in funzione. Nell’ordinanza il gip parla di «sistema Bellomo». L’indagato viene descritto come un uomo «di elevata attitudine alla manipolazione psicologica mediante condotte di persuasione e svilimento della personalità della partner nonché dirette ad ottenerne il pieno asservimento se non a soggiogarla, privandola di qualunque autonomia nelle scelte, subordinate al suo consenso».

Nel sistema Bellomo «l’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e gerarchia».

Le vittime venivano prima «isolate, allontanandole dalle amicizie», per poi subire una «manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento con successivo controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé». Il giudice aveva addirittura creato un vero e proprio dress code per tutti gli eventi, a cui le corsiste avrebbero dovuto attenersi: ovvero «classico» per gli eventi burocratici, «intermedio» per corsi e convegni ed «estremo» per eventi mondani.

Le borsiste dovevano inoltre «curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurare il più possibile l’armonia, l’eleganza e la superiore trasgressività al fine di pubblicizzare l’immagine della scuola e della società». In una sorta di delirio di onnipotenza, Bellomo avrebbe imposto «il divieto di contrarre matrimonio a pena di decadenza automatica dalla borsa». Alle ragazze veniva inoltre imposto un contratto che «imponeva una serie di obblighi e di divieti», come la «fedeltà nei confronti del direttore scientifico» e «l’obbligo di segretezza sul contenuto delle comunicazioni intercorse».

Nell’inchiesta barese si è inserito un nuovo filone, che vede coinvolto come vittima il presidente del consiglio Giuseppe Conte, all’epoca dei fatti vicepresidente del Consiglio della presidenza della giustizia amministrativa, chiamato a esercitare l’azione disciplinare nei confronti di Bellomo dopo che erano emersi i primi illeciti a suo carico.

Il non ancora premier Conte fu trascinato davanti al Tribunale civile di Bari, insieme alla collega Concetta Plantamura, componente dello stesso organismo. Bellomo li accusò di aver commesso illeciti nella trattazione del giudizio a suo carico e fece notificare loro un atto di citazione per danni. Secondo la procura di Bari, tale atto fu invece un’implicita minaccia, finalizzata a prospettare all’intero Consiglio il possibile esercizio di azioni civili nei confronti di Conte e Plantamura.