Le storie raccontano chi siamo, chi vogliamo essere e anche chi crediamo siano gli altri. Le narrazioni da sempre elaborano i cambiamenti sociali e culturali che, strada facendo, si definiscono in relazione all’altro. Ci accompagnano in un percorso che spesso conduce a nuovi luoghi di incontro. In questa campagna elettorale le storie sul tema immigrazione sembrano andare in un’unica direzione, che ci imprigiona nel vicolo cieco e desolato della paura. Ci rappresentano come un popolo xenofobo, chiuso nei confronti della diversità, che vede nello straniero un potenziale delinquente o stupratore o terrorista, al meglio, come un usurpatore dello scarso lavoro.

MA CI SONO altre storie. Narrazioni che rimangono ai margini della campagna elettorale e, più in generale, fuori dalle rappresentazioni dominanti nei media. Specchio di altre esperienze e di Terre Alt(r)e. Racconti di un’Italia diversa, come quella presentata nel volume curato da Andrea Membretti, Ingrid Kofler e Pier Paolo Viazzo, Per forza o per scelta, L’immigrazione straniera nelle Alpi e negli Appennini (Aracne, 2017). Sono le storie che vengono dai paesi delle aree interne, al centro dalla Strategia Nazionale avviata dall’ex Ministro Fabrizio Barca.

LE BUONE PRATICHE raccolte nel libro sono molte, così come le possibili indicazioni per le politiche pubbliche e per la politica. Nel biellese c’è il caso di Pettinengo, storicamente legato alla filatura della lana. Negli ultimi decenni, il paese si è trovato di fronte alla sfida identitaria della riconversione. In questo contesto, nel 2014 PaceFuturo Onlus ha gestito l’arrivo in paese di un gruppo di rifugiati africani, con l’inserimento attivo di alcuni di essi in un progetto di recupero e valorizzazione degli antichi sentieri operai e dell’archeologia industriale montana: recupero/reinvenzione del paesaggio culturale a fini di salvaguardia, turistici e identitari. Il buon esito del progetto si deve a un’attenta analisi delle risorse territoriali, al confronto con le esigenze di tutti gli attori coinvolti, alla previsione delle loro relazioni future. L’accoglienza che funziona è un’occasione di sviluppo locale, integrata con i bisogni delle persone che fanno parte di quel territorio. Nel nord-est c’è il caso della cooperativa Cadore. Nel 2011, questa realtà dell’alto bellunese ha aperto due piccoli CAS (Centri Accoglienza Straordinaria), un appartamento e una abitazione unifamiliare. Distanti 5 km circa l’uno dall’altra, i centri sono stati destinati a una decina di giovani uomini, provenienti da vari stati dell’Africa sub-sahariana. L’esperienza di accoglienza si è sviluppata con modalità analoghe alla prima, facendo leva sul dialogo continuo con i soggetti del territorio (le amministrazioni e la popolazione locale) e sul rispetto degli equilibri tra le parti coinvolte. Da un punto di vista strategico, la cooperativa ha scelto di accogliere un numero limitato di richiedenti asilo e ha optato per un modello abitativo diffuso sul territorio, creando nuclei omogenei per etnia, età e religione. Nonostante il numero di ospiti sia cresciuto nel corso del tempo, il modello di «accoglienza diffusa» e la cura del servizio non sono cambiati.

C’È ANCHE la «mala accoglienza», al nord come al sud. A Spineto, nelle montagne silane, in un ex ristorante dismesso e riadattato, è stato aperto un CAS gestito dalla Cooperativa Sant’Anna. In questa struttura isolata dal centro abitato, sono stati ammassati circa 80 migranti senza un’adeguata assistenza sanitaria e idonee condizioni di vita. In seguito alle segnalazioni e a un’inchiesta, nel 2015 il CAS è stato chiuso. Del resto, la Calabria è nota per l’esperienza di Riace e dei comuni della cosiddetta “dorsale dell’ospitalità”, che ha ispirato pratiche di accoglienza a livello internazionale.

DI QUESTI e di altri casi si parlerà al Convegno «Rifugiati e lavoro: le buone pratiche» che si terrà a Milano il 24 febbraio 2018 dalle 9.30 alle 16 presso la Camera del Lavoro in Corso di Porta Vittoria 43. Il convegno, organizzato da Associazione Costituzione Beni Comuni, Camera del lavoro di Milano e Rete Scuole Senza Permesso, con il Patrocinio del Comune di Milano, metterà a confronto associazioni del terzo settore, imprese, istituzioni e rifugiati sul tema del lavoro come strumento di autonomia economica e dignità. Storie, queste sì, che dovrebbero orientare la storia delle politiche di accoglienza in questo Paese.