Diversi ma uguali. Sono gli atleti diversamente abili che dal 24 agosto al 5 settembre animeranno la sedicesima edizione dei Giochi Paralimpici di Tokyo. Anche questa olimpiade avrà luogo a porte chiuse, secondo gli accordi stabiliti pochi giorni fa tra le autorità giapponesi e il presidente del Comitato Paralimpico Internazionale Andrew Parsons. Nel complesso prenderanno parte alle gare ben 4.400 atleti, che si cimenteranno in 22 discipline sportive. Le 21 sedi che ospiteranno le competizioni, a differenza delle olimpiadi concluse l’8 di agosto, saranno concentrate solo nelle prefetture di Shizuoka, Saitama e Chiba. Gli atleti partecipanti gareggeranno sulla base delle loro disabilità: visive, psichiche e motorie. Coloro che sono affetti da disabilità motorie, saranno ulteriormente divisi tra quelli che hanno deficit muscolari e gli atleti che hanno difficoltà di coordinazione motoria, ai quali si aggiungono coloro che hanno deficit dovuti a un diverso sviluppo scheletrico.

Dietro gli atleti diversamente abili c’è il lavoro paziente dei genitori, che spesso lasciati soli dalle istituzioni si fanno carico di tutte le problematiche legate alle patologie dei figli. Sono loro i volontari dello sport, che si organizzano in proprio per spezzare l’isolamento in cui versano. A loro si aggiunge la dedizione di allenatori competenti che conoscono bene le patologie dei propri atleti e sanno adattare le sedute di allenamento.

I sommersi

Gli atleti diversamente abili, che gareggeranno a Tokyo sono solo la punta di un vasto movimento, che grazie allo sport trova occasione di incontro per gli allenamenti, partecipa ai campionati, si organizza per le trasferte non sempre facili, soprattutto a causa delle barriere architettoniche. E’ un mondo sommerso, ignorato dalla stampa sportiva e dai media, ma anche dalle istituzioni, salvo quando si accendono le luci della ribalta in occasioni di manifestazioni sportive internazionali, come le Paralimpiadi, o quando le elezioni obbligano i mestieranti della politica a non tralasciare nessun ambito. Il sacrificio per consentire ai diversamente abili di fare sport è enorme, e a volte chi è impegnato nella promozione dei campionati cede e le società sportive scompaiono.

I numeri

Gli atleti affetti da patologie intellettive relazionali nel 2014 erano 5436 e i dati forniti dal Comitato Paralimpico dicono che oggi sono scesi a 5226, mentre le società sportive passano da 340 a 324 nello stesso arco di tempo, cali di poche decine di unità, se parliamo di un movimento sportivo normale, perdite vitali se riferite a ragazzi affetti da gravi patologie. Per le famiglie vi è un aggravio dei disagi, come spostarsi di decine di chilometri per cercare una nuova società, se i figli vogliono continuare a praticare sport. In alcune aree geografiche del Sud, non si trovano società sportive nel raggio di qualche centinaio di chilometri. Per fortuna ci sono anche dati incoraggianti che riguardano l’aumento dei praticanti nella scherma, che quanto a tesserati ha fatto registrare un incremento del 13% negli ultimi anni, crescono gli iscritti al basket del 4% e le società sportive del 10%. Risultati incoraggianti anche dalla canoa/kayak, 12% l’incremento dei praticanti e 11% l’aumento delle società sportive. Un movimento fluttuante, frutto di tanti sacrifici, che non sempre trova rispondenze nelle istituzioni. Oggi gli atleti diversamente abili impegnati nei campionati organizzati dalle federazioni sportive del Comitato Paralimpico Italiano, sono nel complesso oltre 13 mila, mentre 2.111 sono le società sportive. La delegazione Azzurra che ha raggiunto il Giappone è il risultato di questo movimento.

A Tokyo

Alla sedicesima edizione dei Giochi Paralimpici di Tokyo, sono stati ammessi per la prima volta due nuovi sport, il badminton e il taekwondo, chissà se in quest’ultima disciplina sportiva qualche italiano imiterà il neocampione olimpico Vito Dell’Aquila e conquisterà l’oro. La delegazione Azzurra, che prende parte alle Paralimpiadi di Tokyo è composta da 113 concorrenti dei quali 60 sono atlete e 53 gli atleti, e sarà impegnata in 15 delle 22 discipline sportive previste dal programma paralimpico. La stella, per empatia, vitalità e meriti sportivi è Bebe Vio, oro e bronzo nella scherma alle Paralimpiadi di Rio nel 2016, ma speranze sono state poste anche nel nuotatore Federico Morlacchi, saranno loro a guidare la delegazione paralimpica degli Azzurri. Oltre a Morlacchi, in generale è il nuoto paralimpico il punto forte dell’Italia, perché in questo sport gareggerà un numero di atleti Azzurri di gran lunga superiore a ogni altra disciplina sportiva, tra loro Simone Barlaam e Carlotta Gilli. Saranno loro con molta probabilità a incrementare il medagliere. Speranze anche nell’atletica con Martina Caironi e nell’equitazione con Sara Morganti. Nella delegazione Azzurra gli atleti più giovani sono Matteo Parenzan, impegnato nel ping-pong e Carola Semperboni nell’equitazione, entrambi da qualche mese diciottenni. Le gare saranno trasmesse da Rai 2, la rete televisiva coprirà l’evento paralimpico dall’inaugurazione dei Giochi fino alla conclusione e chissà che anche gli atleti Azzurri diversamente abili non facciano incetta di medaglie come i normodotati.

La rivoluzione

Le Paralimpiadi furono un’intuizione del neurologo inglese Ludwig Guttmann, che alla riabilitazione motoria o sensoriale aggiunse la pratica sportiva per favorire un processo di socializzazione tra i disabili. La prima edizione si svolse nel 1960 dopo le olimpiadi di Roma.

La delegazione degli Azzurri presente a Tokyo è la più numerosa dal 1960 a oggi, il motivo lo spiega Luca Pancalli, presidente del Comitato Paralimpico Italiano:

“L’alto numero di atleti che hanno raggiunto il Giappone è il riflesso della pratica di base. E’ una rivoluzione silenziosa che dobbiamo condurre per cambiare la percezione della disabilità da parte dell’opinione pubblica”. Diversi, ma uguali è una battaglia di lungo corso e lo sport può aiutare a vincerla.