Dopo che i due giudici istruttori che conducevano le indagini hanno concluso per il non luogo a procedere per insufficienza di prove, l’affaire Bettencourt non turba più la strategia di ritorno in campo di Nicolas Sarkozy (Gérard Davet e Fabrice Lhomme, Face aux affaires, l’insaisissable Nicolas Sarkozy, Le Monde del 9 ottobre), ma a suo carico restano altre quattro inchieste (Tapie, Karachi, Gheddafi, sondaggi dell’Eliseo). Come Silvio Berlusconi, Sarkozy ha parlato e parla di persecuzione giudiziaria nei suoi confronti. Negli Stati a tradizione bonapartista le inchieste giudiziarie vengono spesso qualificate così. Ovviamente Sarkozy è implicato in processi non paragonabili a quelli nei quali è coinvolto Berlusconi, né ha mai chiamato i giudici del suo paese “cancro”. I suoi seguaci dicono che l’accanimento giudiziario contro di lui politicamente gli giova. Vedremo.
Come Berlusconi, Sarkozy segue la strategia della vittimizzazione, ragion per cui Pierre Musso, in un libro ben noto ma che è bene riprendere in mano, paragonando Berlusconi a Sarkozy, ha parlato di sarkoberlusconismo (P. Musso, Le Sarkoberlusconisme, Edition de l’aube).
Molteplici gli aspetti “sarkoberlusconiani”: la vittimizzazione; l’utilizzazione dei mezzi tradizionali della politica in modo anomalo; la teatralizzazione; l’assorbimento dello Stato nel privato (lo Stato gestito come impresa); i valori imprenditoriali come i valori tout court; il superamento del principio del conflitto di interessi. Secondo Musso, il sarkoberlusconismo è un neoliberalismo latino manipolatorio, spacciato per democrazia, che come suo obiettivo ha quello di distruggere il welfare state e di costruire uno Stato liberale integrale, di libero mercato distorto, dove dominano gli imprenditori, le corporations e il capitalismo finanziario.
Il sarkoberlusconismo è l’eliminazione dello spazio pubblico, consegnato ai privati. Ma, nota Musso, le carriere politiche di Berlusconi e Sarkozy sono differenti. La vita pubblica di Berlusconi si svolge in due tappe. La prima: l’imprenditore che diventa miliardario. La seconda: il miliardario che entra in politica, decide di fare affari governando l’Italia in conflitto di interesse – e l’opposizione, fatto inaudito (il rilievo non è di Musso, è mio) lo lascia fare, lo lascia governare in macroscopico conflitto di interessi, perdendo così ogni credibilità. Il Pd deve farsi perdonare dagli italiani molte cose e, principalmente, questa.
Musso pubblica il suo libro nel 2008. Ora siamo nel 2013. Il paragone fra Sarkozy e Berlusconi andrebbe aggiornato. In questa sede mi limito a trattare due aspetti. Il primo è un paragone che Musso non fa: Sarkozy e il colonialismo, Berlusconi e il colonialismo. Sarkozy è un falco, come del resto François Hollande. Si è precipitato sulla Libia e la ha sconvolta. Berlusconi si è messo al suo seguito. Oggi in Francia si discute se, in campagna elettorale 2007, Sarkozy abbia ricevuto 50 milioni di euro da Gheddafi (Gérard Davet e Fabrice Lhomme, Ces ex-dignitaires libyens qui inquiètent Sarkozy, Le Monde del 5 giugno). Due giudici francesi stanno indagando: Serge Tournaire e René Grouman. Sarà utile seguire il processo.
Seconda questione. A mio avviso, occorre abbandonare il discorso sul caimano e sulle sue molte varianti e cercare di tracciare un profilo quanto più possibile oggettivo, richiamando i libri degli storici che hanno trattato di Berlusconi. Ne cito solo uno, ben conosciuto: Denis Mack Smith (“Storia d’Italia”, Laterza), che non ha alcuna ragione di essere pregiudizialmente contro Berlusconi, scrive che ha conquistato i suoi primi successi nell’industria edilizia milanese durante gli anni settanta, in un periodo di speculazione immobiliare senza freni, poi nelle assicurazioni, nei supermercati, nella pubblicità, nei giornali, in televisione. Secondo alcuni, la Fininvest aveva un peso politico pari alla Fiat, ma non essendo quotata in borsa, di conseguenza i suoi conti rimanevano oscuri. Molti anni prima Berlusconi aveva aderito alla P2 e non era un segreto per nessuno che la Fininvest doveva la sua prosperità ai suoi legami con Bettino Craxi.
Il liberale Berlusconi si è rivelato in sostanza assai poco liberale ed è stato denunciato in quanto tale da ogni vero liberale in campo mondiale (basti ricordare la serie di articoli dell’Economist: Berlusconi unfit, unfit, unfit). E’ questo il giudizio definitivo al quale Berlusconi non è in grado di sottrarsi, non solo a quello della magistratura.