L’indagine resa nota ieri da Almadiploma, l’associazione di scuole che insieme al consorzio interuniversitario AlmaLaurea ha analizzato 72 mila diplomati del 2012, 2010 e del 2008, è utile per comprendere come la nozione di «occupazione» sia cambiata in una società dove il lavoro è sempre più intermittente, e povero, al punto da estendere la definizione di «occupato» anche alla formazione retribuita (stage e tirocini) e alle attività precarie che non rientrano nella definizione ufficiale di «occupazione». Le statistiche dicono che a gennaio 2014 i senza lavoro 15-24enni erano il 42,4% dei giovani attivi. L’Italia si classifica terza dopo Grecia e Spagna. L’emergenza è nazionale.

Questo dato è stato ottenuto in base al rapporto tra le persone in cerca di occupazione e la forze di lavoro. Chi è in cerca di lavoro, lo ha cercato una volta nei 30 giorni precedenti l’intervista ed è disponibile. Nelle condizioni attuali del «mercato» del lavoro, tuttavia, un diciannovenne diplomato in cerca di lavoro può anche non essere disposto ad iniziarlo qualora gli venga offerto. Può continuare a cercarlo, a formarsi, o lavorare in maniera informale. Proprio come accade per altre fasce di età.

Per comprendere questa realtà l’indagine coordinata dal direttore di AlmaLaurea Andrea Cammelli usa un criterio «longitudinale» e segue i giovani dopo uno, tre e cinque anni dal conseguimento del diploma. Emerge così una nozione più ampia di «occupazione» tra i 19-24 enni che permette di evidenziare come tra i diplomati degli istituti tecnici essa aumenti di 3 punti, assestandosi al 37%. A tre anni dal diploma l’occupazione tra tutti i diplomati cresce al 43% (+8% rispetto ad un’indagine analoga condotta nel 2011). Dopo cinque anni è al 58%. In maniera corrispondente, il tasso di disoccupazione dei diplomati è più basso. A tre anni dal titolo è pari al 26% (-7% rispetto al 2011), cresce tra i professionali al 27,5%, mentre scende tra i tecnici (24%) e i liceali (25%). Dopo 5 anni, a 24 anni, è al 19%, mentre tra i diplomati tecnici è al 17%.

Come si spiegano queste differenze tra il dato del 42,4% al punto da essere usato per una «riforma strutturale» come il il «Jobs Act», teso a precarizzare ulteriormente l’occupazione giovanile con la deregolamentazione dei contratti a termine? L’analisi di AlmaDiploma è dinamica, cerca di seguire la traiettoria della vita di una persona, considerando il contesto sociale e familiare. Sulla continuazione degli studi pesa sempre di più, ad esempio, l’appartenenza ad una famiglia del ceto medio di chi va al liceo e poi all’università, rispetto a chi sceglie un professionale o un tecnico. Insieme alla crisi economica e alla mancanza di politiche per il diritto allo studio, questo fattore ha inciso sul drastico calo delle immatricolazioni all’università (-17% nel 2011 rispetto al 2003: 59 mila studenti). Ad un anno dal diploma, il 64% sceglie di andare all’università.

I giovani italiani vivono in una zona grigia dove il lavoro oscilla tra il precariato e la disoccupazione. Il settore che assorbe maggiormente le loro attività è quello dei servizi sociali e personali o del commercio (30%, nella stragrande maggioranza liceali), l’industria è al 14% (tecnici e professionali), l’agricoltura occupa circa il 3%. Com’è logico, i liceali che scelgono di continuare gli studi universitari sono i meno occupati e retribuiti (in media 422 euro mensili). I diplomati professionali guadagnano 755 euro, seguiti dai tecnici (726 euro). Malgrado siano le più numerose, e con voti eccellenti, le ragazze sono discriminate anche da questo punto di vista: guadagnano 508 euro contro 721 dei ragazzi. Il lavoro a tempo determinato, a chiamata, a termine è quello più diffuso ad un anno dal diploma: il 29%. Tra i professionali raggiunge il 38%. Chi lavora senza contratto (e quindi sarebbe «disoccupato) è addirittura il 22% dei diplomati. A tre anni dal contratto il lavoro stabile riguarda solo il 27% dei diplomati. Il lavoro stabile cresce dopo 5 anni: il 43%. Un balzo di ben 22 punti, in particolare tra i tecnici e i professionali.

Il titolo di studio, sia esso il diploma o la laurea, continua ad avere un valore e contribuisce alla resistenza su un mercato del lavoro altamente precarizzato, con salari bassi e scarsissimi diritti.