Il corpo come realtà ultima nell’era della totalità virtuale. Dopo un intervallo di otto anni durante il quale ha parlato molto di Netflix e suggerito che forse il cinema non lo interessava più, David Cronenberg torna alle radici con un film che riprende i temi più profondi della sua opera – dai primi mediometraggi, a cui si richiama il titolo di quest’ultimo lavoro, al body horror di Videodrome e Existenz, agli strumenti ginecologici di Inseparabili alla sessualità lancinante di Crash – e li porta più avanti, in modo sia rigoroso che commovente.

David Cronenberg
Non faccio film per scioccare le persone o aggredirle. Dico loro: ho notato alcune cose, ho avuto delle idee, ho fatto sogni che mi hanno turbato. Ve li mostro.

NONOSTANTE il gigantesco poster, proprio di fronte al Palais, su cui si legge la scritta (superirritante) «Questo non è un film. È un Tik Tok», i film di Cronenberg e Skolimowski (a suo modo un body horror anche quello), due delle punte di quanto visto in concorso finora, rivendicano, in questa Cannes 2022, un’idea di cinema forte, libero, indipendente e profondamente fisico, sia nel gesto che nelle idee. Costretto a girare in Grecia per via dei costi e della pandemia, Cronenberg non si è lasciato sedurre dalla palette mediterranea. Il mare si vede a malapena all’inizio del suo Crimes of the Future, nell’immagine apparentemente innocente di un bambino che gioca vicino all’acqua.
Dopo averla stemperata in un crimine orribile, il regista di Toronto (l’ultima volta a Cannes con il coloratissimo, losangelino, Maps To the Stars) lascia che il suo nuovo film si snodi malinconicamente sullo sfondo di rottami di navi arrugginite, stradine notturne di palazzi decrepiti, corridoi che sembrano quasi delle catacombe.

IL MONDO di Crimes of the Future è un mondo esausto, dalle cui ceneri forse scaturirà qualcosa di nuovo, di altro. Come esausto sembra Saul Stenser, il suo protagonista (Viggo Mortensen), un artista il cui corpo autoproduce (forse coscientemente) organi non umani che poi vengono estratti in elaborate sessioni di performance art condotte insieme alla sua partner/amante, Caprice (Lea Seydoux) e donati a un ufficio governativo segreto proposto per catalogarli, come pezzi da museo.
Per adeguare il suo quotidiano agli estranei che stanno crescendo in lui, Stenser è costretto a mangiare con l’aiuto di una sedia speciale che dovrebbe facilitare il passaggio del cibo nel sistema e a dormire in un guscio/pod capace di sentire il suo dolore e minimizzarlo grazie a dei bracci mobili.

È attraverso il pod che lui e Caprice riescono a fare sesso – un passo in là rispetto a Crash, come ha notato il regista in un’intervista a «France Culture» (il film esce nelle sale francesi mercoledì): «In Crash la sessualità era onnipresente ma restava abituale (a parte il fatto che i personaggi facevano l’amore in macchina) mentre in Crimes of the Future il sesso si è allontanato dalla norma. I personaggi sono meno direttamente coinvolti. Quello che aveva veramente scioccato il pubblico in Inseparabili era che il piacere passasse attraverso degli strumenti ginecologici. Un artista mette tutto nella sua arte – il suo gusto, la sua anima e persino il suo corpo. Mi sembra evidente. Alcuni vanno fino al punto di non ritorno, all’irrimediabile. Così ho pensato all’organografia di Saul Tenser: i nuovi organi che scopre all’interno del suo corpo ed esibisce sono anche loro delle creazioni artistiche».

IN REALTÀ, oltre alla riflessione sul processo artistico descritta qui sopra dal regista, Crimes of the Future riposiziona l’esistenzialismo che attraversa tutto il cinema cronenberghiano, la dialettica dell’identità e della mutazione, cosa significa farsi altro (o, nel caso dell’amore, darsi a un altro) in un modo che va aldilà della sua fascinazione per il rapporto tra umanità e tecnologia. In direzione sia più radicale che limpida.