La ripartenza delle scuola, prevista per il 14 settembre, interesserà circa 8 milioni e mezzo di studenti e studentesse e circa un milione di docenti. Tra di loro vi sono almeno 300 mila alunni e alunne con disabilità psichica e fisica e diverse migliaia di insegnanti di sostegno. Alcune inchieste, effettuate in questi mesi di emergenza Covid, hanno evidenziato che l’utilizzo della Dad (didattica a distanza) ha penalizzato maggiormente proprio i soggetti più fragili. Si sostiene, anche se non vi sono cifre ufficiali a riguardo, di un 30-50 per cento di studenti con disabilità psichica che non sono stati raggiunti dalla DaD. Per questo l’attenzione di molte associazioni è focalizzata su come riapriranno le nostre scuole e su quali strumenti stanno venendo messi in campo dal ministero dell’Istruzione e dai singoli istituti scolastici.

Vincenzo Falabella, presidente della Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) lo dice molto chiaramente: «Siamo molto preoccupati, non si tratta di vedere se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, semplicemente il bicchiere io proprio non lo vedo». «La scuola italiana risente di un problema atavico – sostiene ancora Falabella – legato agli spazi e all’edilizia scolastica in generale, l’emergenza Covid li ha solo palesati».

Secondo il presidente della Fish questo è il primo problema per gli alunni con disabilità perché il rischio è che non si possa rientrare in sicurezza nelle aule garantendo il distanziamento per studenti e docenti di sostegno così da metterli nella condizione di dover svolgere le lezioni fuori dal contesto classe. «Sarebbe gravissimo se, dopo i mesi di lockdown che hanno penalizzato di più proprio le categorie più fragili, gli alunni con disabilità fossero costretti a stare fuori dalle proprie aule di riferimento o, peggio, dover ricorrere alla DaD».

Oltre agli spazi c’è un capitolo specifico inerente i trasporti che è oggetto di confronto tra le associazioni, il ministero dei Trasporti e l’Anci. Falabella chiede ai comuni «uno sforzo finanziario per implementare il trasporto scolastico e garantire il rispetto delle prescrizioni ma anche il servizio per tutti».

Il problema più grande riguarda, però, il personale docente. Secondo un’inchiesta della Cisl scuola vi sono oltre 30 mila cattedre sul sostegno vacanti, in particolare nelle regioni del Nord Italia (quasi il 70%). Il ministero dell’Istruzione, inoltre, ha disatteso l’articolo 14 del decreto attuativo della “Buona scuola” che prevedeva la continuità didattica per i supplenti con specializzazione sul sostegno se vi era una precisa richiesta della famiglia. «Così si privano ulteriormente di punti di riferimento stabili i bambini e i ragazzi con disabilità» sostiene la referente per l’inclusione scolastica dell’Angsa (Associazione genitori soggetti autistici) Stefania Stellino.

Secondo il professor Dario Ianes, docente di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, questi mesi di lockdown avrebbero potuto essere l’occasione per ripensare in maniera innovativa l’organizzazione della didattica sia tra il gruppo dei pari che nella relazione con le famiglie. «Siccome gli studenti con disabilità sono stati i più colpiti da questi mesi di emergenza sarebbe utile che già dal 1° settembre, partissero, i ‘corsi di recupero’ con un ritorno in presenza nelle nostre scuole. Inoltre, prima del 14, i singoli istituti potrebbero costruire dei progetti su piccoli gruppi in ogni classe, delle cordate tra alunni con relazioni strutturate dove costruire una piccola realtà sociale di mutuo aiuto. Insieme a questo – continua Ianes – programmare degli incontri specifici con le famiglie degli alunni con disabilità, non solo con gli insegnanti di sostegno ma con tutto il team docente di classe, per analizzare criticità ed esigenze che sono emerse durante l’emergenza Covid». «È necessario studiare delle strategie di inclusione efficaci soprattutto se dovremo far fronte a una nuova ondata di contagi e ritornare a una didattica a distanza» conclude il pedagogista «saldare i legami sociali, in maniera strutturata tra gli studenti di una stessa classe e tra docenti e famiglie, potrebbe essere una risorsa preziosa per non far tornare invisibili i soggetti più fragili».