Nel gelo termico del Macro di via Nizza, luogo magnifico gestito con la sciatteria che ben raffigura la decadenza romana odierna, un trio di interpreti eccellenti – Manuel Zurria, flauto, Francesco Dillon, violoncello, Emanuele Torquati, pianoforte – prova a riscaldare il pubblico di musicofili. Se non ci riesce per quanto riguarda i piedi, le mani e le punte dei nasi, ci riesce senz’altro per quanto riguarda cuori e cervelli. Concerto della stagione di Nuova Consonanza intitolato in modo stimolante: Dissidenti e ortodossi. Così occorre giocare a trovare chi tra gli otto autori in programma è dissidente e chi è ortodosso. A conti fatti abbiamo trovato solo un «ortodosso», se col termine si intende un superficiale e non un osservante di qualche scuola: il Régis Campo messo nel finale con uno Scherzo da zuzzerellone in vena di evocare la caccia alla volpe et similia.

Gli altri sono tutti «dissidenti». A cominciare da Olivier Messiaen, che con Le merle noir per flauto e piano scritto nel 1951 sembra sulle prime così classico in mezzo a vari autori che non sono «post» qualcosa, modernità o avanguardia, ma sono «oltre», nella libera inventiva. Sembra classico e invece è moderno e, anzi, contemporaneo. La polifonia trascinante della seconda fase, particelle di linee che frullano tra loro, è lì a dimostrarlo. Francesco Filidei si conferma geniale. Preludio e filastrocca (2010-’12) per pianoforte (mirabile Torquati!) è come un «après midi» di fanciulla sognante, è un paradosso gentile tutto semplicità tonale che nasconde il gusto per la sorpresa. Amante di una certa teatralità, nelle Due bagatelle (2008) per il trio eccede un po’ quando inscena il carnevale di fischietti che conclude il brano.

Daniele Bravi è il compositore forse più atteso nella serata per via della sua novità assoluta Visioni dall’orizzonte degli eventi per violoncello solo. È un esploratore o interrogatore dei suoni, del corpo dei suoni. Si mette a studiarne la materia e attende – attivamente, molto attivamente – di seguirne le possibili evoluzioni sul lato dei timbri, certo, timbri aspri, timbri fragili sul punto di rottura, timbri grumosi, ma pure dal lato di «ipotesi di lirismo» in un clima generale che rammenta l’espressionismo.

Poetica dell’analisi e poetica della passione si fondono nel lavoro di questo compositore che tra i «dissidenti con metodo» ci sta benissimo. Haos (2003) per pianoforte è un bellissimo ricordo di Christophe Bertrand, morto suicida a ventinove anni nel settembre del 2010. Nei primi episodi sembra ambient, ma si capisce subito che è altra cosa, un progetto più ampio e vario. Procede per ripetizioni e variazioni sulle tracce di ripetizioni, introduce virtuosismi meditati cristallini. José Maria Sánchez-Verdù è un po’ forzato a riprodurre una struttura tradizionale in Deploratio II (2001) per flauto e violoncello, con un gioco di «inseguimento» tra i due strumenti. Una deambulazione misteriosa, affascinante, è Circumambulation (1993) per flauto di Yan Maresz.