“Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia». Un nome, un programma. Questa la sigla corporativa che ieri ha inscenato un’inaudita manifestazione di protesta sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, ucciso da quattro poliziotti nella notte del 25 settembre di otto anni fa.  Aggrava la situazione il surreale battibecco tra il sindaco di Ferrara, sceso in piazza per porre fine all’ignobile gazzarra, e il difensore d’ufficio dell’onore perduto di quel gruppo di poliziotti, l’on. Potitto Salatto, sedicente rappresentante dell’Europa (vedere il video in rete, per credere) sceso in piazza con il Coisp.

Non è nuovo, del resto, il Coisp a simili aberrazioni. Giusto un mese fa, mentre il tribunale di sorveglianza era chiamato a decidere della possibilità di concedere l’affidamento in prova al servizio sociale di uno dei condannati, un gruppo di poliziotti di quella sigla sindacale, avvalendosi dell’uniforme di servizio, è entrato negli uffici del tribunale per inscenare una manifestazione di protesta preventiva (letteralmente, un tentativo di intimidazione) contro il collegio giudicante. 

Come se quel gruppo di buontemponi canterini, raccolti sulle scale del tribunale di Milano, qualche settimana fa, fossero entrati alla chetichella dentro il Palazzo di giustizia, avvalendosi del fatto di essere parlamentari, per manifestare davanti alle porte delle giudici del caso Ruby.

Ieri come un mese fa. Poliziotti contro le istituzioni e le parti lese di un reato, una profanazione del dolore, del comune sentimento di giustizia e dello stesso ruolo istituzionale della polizia di Stato. E’ necessaria una più chiara e netta presa di posizione delle autorità politiche e amministrative, dal ministro Cancellieri in giù.
E’ auspicabile una presa di distanza degli altri sindacati di polizia e di singoli operatori delle forze dell’ordine. Inimmaginabile, trent’anni fa, che la smilitarizzazione della polizia di Stato e la sua sindacalizzazione dovessero finire così, nella pubblica rivendicazione corporativa dell’impunità di autori di gravi reati.

E’ questo il senso dello Stato al tempo dei tecnici? Quando un ministro degli esteri, ambasciatore di lungo corso, si dimette perché non ha potuto tener fede al suo proposito di violare impunemente accordi internazionali presi con un altro Stato?