Evidentemente non è proprio considerata una notizia. Difficile trovarne qualche traccia fuori dalle pagine di questo giornale. Eppure la cancellazione del vertice dell’Unione europea sulla disoccupazione giovanile previsto per il prossimo 11 di luglio a Torino e il suo “probabile” rinvio a fine anno nella sede di Bruxelles, annunciato da Renzi al margine dell’incontro con Van Rompuy, non è proprio un’inezia.

A motivare il rinvio e lo spostamento del summit per conto del governo italiano ci ha pensato il ministro del lavoro Giuliano Poletti, evocando gravi rischi per l’ordine pubblico connessi con le mobilitazioni internazionali convocate a Torino per contestare il vertice.

Se questa fosse davvero la ragione del rinvio i contestatori potrebbero dirsi più che soddisfatti. La semplice convocazione di una protesta con possibili risvolti di scontro sarebbe stata sufficiente a incidere sull’agenda dei governi europei e a suggerire di confinare le sedi di una discussione che si annuncia assai poco presentabile ben lontane dalle piazze e dall’ostilità dei cittadini.

Ma nessun governo ammetterebbe, con la grossolana ingenuità esibita da Poletti, una ragione così arrendevole. Per di più un governo che esercita la presidenza di turno dell’Unione e sbandiera di volerne trarre gran prestigio e grandi risultati. Eppure la retorica sulla disoccupazione giovanile di massa infesta quotidianamente i media e le esternazioni della politica governativa e non.

Sarebbe la soluzione di questo problema, ci giurano, la priorità delle priorità, lo spartiacque tra declino e rinascita. Come spiegare allora che di una questione tanto “cruciale” e “urgente” se ne potrà parlare, con tutta calma, “forse” sei mesi dopo il previsto, alla fine della celebrata presidenza italiana o addirittura oltre? E infatti non lo si spiega, mentre sull’intera faccenda cala il silenzio.

Del resto non è la prima volta che i governanti italiani convocano e poi disdicono un vertice sul “dramma della disoccupazione giovanile”. Ma Poletti, che fa appunto il ministro del lavoro, le vere ragioni dovrebbe conoscerle bene. La prima è che la disoccupazione giovanile non è affatto una priorità nelle politiche economiche europee, che si occupano piuttosto di mascherarla attraverso forme ferocemente sfruttate di sottoccupazione e di ricatto.

La seconda è che i governi dell’Unione su questo argomento non hanno nulla da dire, quantomeno nulla di credibile o digeribile per le rispettive cittadinanze. Il vertice di Torino avrebbe allora messo a confronto una stucchevole inconcludenza con una diffusa e determinata ostilità sociale. Un’ombra, insomma, sull’alba dorata e giovanilista del governo Renzi. E una solida conferma delle ragioni dei movimenti, cui a questo punto potrebbe spettare il compito di convocare un proprio incontro sulla vera natura della “questione del secolo”.