Mai dire 5 stelle. Nel Pd basta la parola per far esplodere una polemica feroce, poco importa se nel frattempo in piazza c’è il leghista nazionalista Salvini che marcia per governare da solo. E così è bastato che sul manifesto di ieri Massimiliano Smeriglio – vice alla regione Lazio di Nicola Zingaretti e coordinatore di Piazza Grande, l’area che sostiene il presidente alle primarie Pd – pronunciasse la parola «disgelo» all’indirizzo dei 5 stelle, per far saltare i nervi ai renziani che hanno trascorso l’intera giornata a sparargli contro.

Ma non è una cosa seria. Zingaretti è accusato di cose mai dette da lui né dal braccio destro (sinistro in realtà) finito nella bufera. Lo attacca Matteo Richetti, numero due del candidato Martina: «No ad operazioni politicistiche e a spurie sommatorie di sigle». E qui siamo invece all’ipocrisia. È noto che nel corso delle consultazioni, prima della nascita del governo giallo-verde, l’allora segretario Martina, avesse deciso di sedersi al tavolo con i 5 stelle. Né più né meno di quello che suggerisce oggi Smeriglio. Il confronto fu sabotato però da un’apposita comparsata tv di Renzi alla trasmissione di Fabio Fazio. E così il tavolo saltò, come lo stesso Renzi racconta nell’ultimo libro di Bruno Vespa, e Martina s’infuriò. Ergo la posizione di Zingaretti – via Smeriglio – è la stessa di Martina.

Quanto ai renziani, attaccano alzo zero stile copia-incolla. Già di buon mattino l’ex dc Beppe Fioroni – che non vuole «rifare il Pds» con Zingaretti ma non aveva esitato a appoggiare l’ex dalemiano Minniti – ha già letto i giornali: «Se la proposta è consegnarsi a Grillo, all’orizzonte c’è la dissipazione della nostra autonomia». La proposta non è quella, ma da solerti discepoli del leader, la dicono così – cioè la mistificano – per attaccare l’avversario in quello che ritengono un punto intollerabile: non volersi cacciare in un angolo a mangiare popcorn mentre il paese viene inghiottito dalla democrazia illiberale.

Che è poi la linea politica che traccia Lorenzo Guerini, smarcandosi dagli sguaiati attacchi dei suoi compagni: «Il nostro compito è opporci con forza a questo governo e costruire l’alternativa al nazional-populismo di Lega e 5 Stelle». Come però, a meno di non affidarsi alla divina provvidenza e al ravvedimento di milioni di elettori che hanno abbandonato il Pd renziano, e che miracolosamente dovrebbero tornare indietro a un Pd sulla linea di Renzi?

Nel frattempo una voce dà in stand by il senatore di Lastra a Signa fino a stamattina per decidere nientemeno che il ritorno per la terza volta nelle primarie. Per tutti è «una bufala». Eppure c’è chi insiste a crederci. In caso contrario l’area deciderà lunedì con una consultazione lampo: sfumata l’idea di un candidato di bandiera, le opzioni sul campo sono la convergenza su Martina o il disimpegno dal congresso, ovvero la sua delegittimazione di fatto, anticamera della fuoriuscita di un pezzo del partito.

A metà pomeriggio Zingaretti parla di «fango»: «Ho detto fino alla noia che non ho alcuna intenzione di allearmi con il M5s» , «I protagonisti di questa gazzarra sono tra i principali responsabili della disfatta elettorale che ha portato i 5S al governo e pretendono di dare lezioni a me che li ho sconfitti».