Annoto alcuni spunti critici di riflessione stimolati dall’osservazione dei ventinove disegni di Roberto Longhi che Giovanni Testori presentò nel 1980 in una esposizione milanese. Si tratta di una rigida selezione operata sui circa duecentocinquanta fogli di mano di Longhi conservati.

Questi trascelti risalirebbero pressoché tutti agli anni tra i Venti e la metà dei Trenta del Novecento. Si tratta di appunti grafici, di schizzi, di ‘copie’ cavate dalle pitture degli autori che Longhi va studiando. Penne e inchiostri neri, ma anche matite nere a grana tenera che consentono tratti mai sottili, anzi corposi e densi, come di carboncino. E gli inchiostri, ancora, mai in punta di penna, ma, se del caso, realizzati per sapienti, contenuti sbaffi.

Testori ha privilegiato una cernita relativa ad opere di artisti con particolare costanza indagati dal critico. Da Masaccio a Correggio a Dossi. Da Caravaggio a Saraceni a Guardi. Una serie di d’après stilati dinanzi agli originali o, credo più frequentemente, realizzati a fronte di riproduzioni fotografiche, a significare che l’appropriazione d’una immagine, per farsi quanto più possibile aderente e divenire intrinseca all’atto valutativo, va assunta senza mediazioni e nella più diretta delle maniere possibili.

L’intento è far propria l’immagine entrando nella fibra delle sue dinamiche compositive, trascorrendo in esse, ad esse, dirò, assuefacendosi. Ed il d’après bene si definisce come la registrazione che dell’opera si ottiene modulando ogni accentuazione o messa in rilievo di quelle parti e di quegli aspetti che risultino alla nostra valutazione eminenti. Se ne enfatizza allora un particolare o se ne abbassa un rapporto prospettico. Sicché puoi riconoscere nel d’après quanto d’un’opera colpisce chi la viene osservando.

Esso conserva la gamma di sottolineature che ne hanno mosso la percezione e che ora ne evidenziano gli apprezzamenti come le sottovalutazioni. Sempre un giudizio critico su una pittura si rivela nella copia, come si dichiara nel commento scritto. A una spontanea verifica questi disegni ‘di lavoro’ di Longhi invitano: in che rapporto stanno con la sua prosa? Testori ci avverte «di quanto Longhi sapesse ‘mimare’, anche per via grafica, lo stile, il mondo e il senso stesso degli artisti che avvicinava e studiava; fossero pure quelli che meno gli accadeva d’amare».

Un giudizio che non mi sento di condividere. Mi limito ad un rapido commento su tre inchiostri da Caravaggio: il discusso Narciso ed il San Giovanni Battista entrambi alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma e la Morte della Vergine del Louvre. Un solo esempio. In quelle celebri opere (e sempre in Caravaggio) i contorni delle figure sono dati in primo luogo dal disegno e poi resi netti, d’una nettezza mai tagliente, nel rapporto di scuri e chiari, di piena luce e buio, che fa la cifra di Caravaggio. Ebbene, essi non sono in alcun modo da Longhi, nella resa grafica, tenuti in conto.

Il suo Narciso (inchiostro su carta, cm 11,4×13, 4) è ottenuto da una febbrile serie di tocchi approssimativi del pennello intriso d’inchiostro che, quando debbono rifare gli scuri, son ridotti a macchie, a gore. Così per il San Giovanni Battista (inchiostro su carta, cm 14×23,7). Il medesimo vale per la Morte della Vergine (matita e inchiostro su carta, cm 28,8×38,5) dove pure a un iniziale impianto disegnativo, tracciato da Longhi a matita, si sovrappone l’inchiostratura tutta volta a dar conto dei contrasti luminosi con l’effetto, però, di render in eccesso mosso, affastellato questo d’après che emulsiona e scuote la superba stasi (si dica: gli equilibri) dell’originale che proprio dalle pagine da Longhi dedicate a Caravaggio abbiamo appreso.

Do qui, dicevo in apertura, solo uno spunto, che chiede d’essere ben altrimenti approfondito, per intendere a pieno il prodigio della scrittura di Longhi, capace, scriveva Emilio Cecchi, «di riprodurre in parole le forme ed i modi di altra arte che verbale (…) non per un procedimento descrittivo e didascalico, ma come per un’immediata innervazione ed immedesimazione nelle forze e nei valori espressivi».