«Per rinnovare la storia della letteratura è necessario abbattere i pregiudizi dell’obbiettivismo storico e trasformare la tradizionale estetica della produzione e della rappresentazione in un’estetica della ricezione e dell’efficacia (Rezeptionsund Wirkungsästhetik)». Così Hans Robert Jauss in un breve saggio, dirompente e provocatorio fin dal titolo — Literaturgeschichte als Provokation der Literaturwissenschaft, 1967, tradotto in italiano come Perché la storia della letteratura?, 1969 — che fece molto discutere. Questa la tesi di fondo: il valore estetico è reso possibile solo da una comunità di lettori nella cui funzione di mediazione si realizza il carattere di «evento» (Ereignis) dell’opera d’arte. Qualche anno dopo, nel 1972, usciva Kleine Apologie der ästhetischen Erfahrung (Apologia dell’esperienza estetica, Einaudi, 1985): qui Jauss, contro l’ «estetica negativa» di Adorno, rivalutava il piacere che si realizza attraverso la comprensione di un’opera e tutti quegli stati emozionali (entusiasmo, compassione, riso, pianto) che costituiscono il primo livello dell’identificazione estetica.
Queste proposte teoriche costituiscono uno dei tratti caratterizzanti di quella che fu chiamata «Scuola di Costanza» e che trovò la sua espressione più significativa nei colloqui di «Poetik und Hermeneutik», fondati da Jauss e da Wolfgang Iser, che a Costanza insegnavano, insieme a Hans Blumenberg. Il primo colloquio si tenne a Giessen, nel 1963, su «Imitazione e illusione», seguirono, per lo più a Bad Homburg, «Estetica immanente e riflessione estetica. Lirica come paradigma del Moderno» (’64), «L’arte al di là della bellezza» (’66), «Terrore, teatro e gioco. Problemi della ricezione del mito» (’68), «Storia, evento e narrazione» (’70), «Posizioni della negatività» (’72), «Il comico» (’74), «L’identità» (’76) … La serie copre l’arco di trent’anni, con diciassette incontri – l’ultimo, Kontingenz, è del 1994 – e gli atti, comprensivi delle discussioni, vennero tutti pubblicati presso Wilhelm Fink.
Un bilancio non autocelebrativo
A distanza di vent’anni dall’ultimo colloquio, una serie di interviste a studiosi che hanno partecipato agli incontri, poi raccolte in volume – Poetik und Hermeneutik im Rückblick Interviews mit Beteiligten, a cura di Petra Boden e Rüdiger Zill, (Wilhelm Fink, pp. 620, € 69,00) – ci offre un bilancio, più problematico che autocelebrativo, di tutta la memorabile impresa. Tra i diciotto intervistati troviamo dei linguisti, Wolf-Dieter Stempel e Harald Weinrich, lo storico dell’antichità Christian Meier, il sociologo Thomas Luckmann, ma soprattutto degli studiosi di letteratura e dei filosofi. I romanisti Karlheinz Stierle e Rainer Warning, che hanno partecipato a tutti i colloqui con importanti contributi, rievocano il grande ruolo che ha avuto la letteratura nei lavori del gruppo e ci restituiscono le figure dei protagonisti. Una presenza fondamentale è quella di Jauss, per la raffinata teoresi con cui interviene su tematiche nodali – imitazione e realtà nel romanzo, allegoresi e rimitizzazione nel Medioevo, negatività e identificazione nell’esperienza estetica, la costruzione dell’eroe comico, identità e ruolo nella figura di Anfitrione – per la capacità di dialogo, per l’intelligenza strategica, l’entusiamo e la tenacia nell’organizzazione dei colloqui. Rilevante, soprattutto nei primi incontri, è il contributo dell’anglista Wolfgang Iser, con suggestive analisi sull’«illusione della realtà storica» in Walter Scott, su immagine e montaggio nella Waste Land di Eliot, sulla riduzione della soggettività in Faulkner, sull’archetipo come «forma vuota» nell’Ulysses di Joyce. Nella seconda fase dei colloqui troviamo i brillanti interventi del medievista Walter Haug e di Jean Starobiinski (su Diderot, su Montaigne, su Valéry) e, in un deciso rinnovamento dei quadri, la partecipazione di anglisti più giovani – Jürgen Schlaeger, Aleida Assmann, Gabriele Schwab (su Beckett e su Faulkner) – di germanisti – Anselm Haverkamp, Gerharrt von Graevenitz, Stéphane Moses – della slavista Renate Lachmann, dell’egittologo Jan Assmann.
La riflessione filosofica, in dialogo serrato con la letteratura, ha sempre avuto un ruolo centrale negli incontri di «Poetik und Hermeneutik». Harald Weinrich, che avrebbe voluto più spazio per la linguistica, che diffida della teoria, si lamenta: «Gira e rigira, si tornava sempre a Hegel». Nelle loro interviste Dieter Henrich, grande specialista di Kant, di Hegel, di tutta la storia dell’Idealismo tedesco, e Manfred Frank, studioso del Romanticismo e della «Nuova Mitologia», rievocano i protagonisti e le vivaci discussioni. Erano infatti in campo diverse filosofie e diversi filosofi: Jakob Taubes, con la sua infinita conoscenza della tradizione ebraica e della gnosi, Odo Marquard, con il suo divertito, ma in fondo melanconico scetticismo, Reinhart Koselleck, con le sue calibratissime e innovative proposte di semantica storica, e soprattutto, orgogliosamente dominante, Hans Blumenberg, con i suoi vertiginosi affondi fenomenologici, con la sua «metaforologia». Del resto anche gli storici dell’arte, come Max Imdahl, che interviene sul concetto di imitazione nella pittura francese, sul ruolo dei colori, sugli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, come Hans Belting, con il suo «Pittura murale e letteratura all’epoca di Dante», argomentano in modo fortemente filosofico.
Molti dei protagonisti non ci sono più, e si affollano, nel discorso degli intervistati, emozioni e ricordi, ora sul filo dell’aneddoto, ora anche tragici: sconvolgente fu la notizia del suicidio di Peter Szondi, nel 1971– aveva partecipato al Colloquio V, «Storia, evento e narrazione», ed era atteso per il Colloquio VI, «Posizioni della negatività». Non può mancare il vissuto negli anni del Nazismo: Koselleck, come ricorda Frank, parla apertamente della sua esperienza al fronte, Jauss invece rimuove il suo passato nelle SS – vi era entrato giovanissimo, a diciassette anni – e vuole cancellarlo con il suo coraggioso e radicale impegno di rinnovamento culturale. Una rimozione drammatica, perchè quando questo passato, del resto già a conoscenza di compagni di strada, come Henrich e Stierle, viene pubblicamente in luce, scoppia il «caso Jauss», con una campagna di stampa frenetica e confusa che però finisce nel nulla: l’immagine di Jauss viene incrinata, ma non distrutta.
Teoria e dinamiche di gruppo
Il quadro si allarga di molto perché entrano in campo grandi figure che non hanno partecipato ai colloqui, ma che sono presenze necessarie con cui confrontarsi: Adorno, Carl Schmitt, Gadamer, Habermas e, nella seconda fase, anche i francesi: Lyotard, Foucault, Derrida, Deleuze.
Il panorama offerto dal volume è molto ricco e stratificato, la grande impresa di «Poetik und Hermeneutik» viene illuminata come meglio non si potrebbe, restituendoci un’esperienza fondamentale anche per la discussione attuale sulla letteratura e sull’estetica. Gli intervistatori, con domande intelligentemente mirate, riescono a far emergere la rilevanza dei problemi teorici affrontati, le dinamiche, a volte anche conflittuali, del lavoro di gruppo e l’esplicarsi e l’intrecciarsi delle varie personalità. Nell’Introduzione al volume citano Rashomon di Akira Kurosawa: in quel grande film non abbiamo una verità, ma delle prospettive che si contraddicono. Similmente, in queste interviste, più delle affermazioni contano le domande e il dialogo, così come riemergono nel caleidoscopio della memoria.