I Pet Shop Boys, tanto camp quanto chiaroscurali e minimali, entrano in scena nella seconda metà degli anni ’80, quando il pop glamour e/o elettronico sta tramontando in Gran Bretagna. Le loro influenze sono numerose e profondamente sentite, dall’house all’hip hop alla disco (newyorkese e italiana soprattutto). Fanno synth pop, ma non solo. Il loro è pop e al tempo stesso un discorso sul Pop. Similmente a XTC, Momus e altri nomi meno fortunati, sperimentano un approccio al genere del tutto postmoderno. Il giornalista musicale Neil Tennant (voce, chitarre e tastiere) e lo studente Chris Lowe (tastiere, sintetizzatore e programmazione digitale) si incontrano nel 1981, ma solo nell’83 entrano nell’orbita di Bobby Orlando, storico produttore gay disco e pioniere dell’Hi-NRG. Se ne allontanano quando, nell’85, firmano con la EMI.

Se il loro sound è caratterizzato da una sorta di rivisitazione di detriti della disco e del pop in genere, il canto di Tennant, per quanto appassionato, possiede una sottile algidità che lo accomuna a un post punk stile Factory. Le sue liriche, ispirate al Rap, sono tra le più Kinksiane di sempre nell’intento di descrivere con tragica ironia la Londra del Thatcherismo nella vita dei tutti i giorni, ma sono anche attraversate da riferimenti improvvisi a un altrove culturale sempre incombente.

L’esordio Please (’86), pur nel suo lirismo e nella sua voracità citazionista possiede ancora un magnetico gelo wave, ma il successivo Actually (’87) ne perfeziona le intuizioni elettroniche e morriconiane (It Couldn’t Happen Here è scritta insieme allo stesso Morricone) in un contesto meno avventuroso. Introspective (’88) è una raccolta di sei lunghi mix che in buona parte vengono editati per diventare singoli, un’inversione geniale del processo di remix. Per Behaviour (’90), i due scelgono di usare solo strumenti elettronici analogici e di escludere il sampling, ingaggiando un frequentatore di Giorgio Moroder, Harold Faltermeyer, alla produzione per rielaborare il sound eurodisco dei ’70. La sottigliezza quasi ambient di suoni e arrangiamenti e la maturità dei testi fanno forse dell’album il loro capolavoro. I successivi Very (’93) Bilingual (’96), concludono il loro periodo d’oro. In seguito il duo piomberà in un buio di creatività e vendite che durerà anni. I sei album qui discussi sono stati rilasciati dalla EMI/Parlophone in versione «Further Listening», cioè con un cd bonus contenente remix, demo, b side e rarità varie.