Un vero disastro ambientale. È quanto avvenuto sulle coste di Santa Barbara, in California,una delle zone più belle d’America: circa 80 mila litri di petrolio si sono riversati nell’Oceano Pacifico a causa della rottura delle condutture di un oleodotto. La società che gestisce l’oleodotto, la Plains All American Pipeline, ha dichiarato di temere un disastro per una cifra di petrolio ancora più alta; e nonostante il flusso di greggio sia stato interrotto subito dopo la rottura, sarebbero finiti in mare quasi 400.000 litri di petrolio.

La Plains in un comunicato, aveva fatto sapere di essere impegnata a fare ogni sforzo possibile e necessario per limitare l’impatto ambientale del disastro. Gli stessi termini erano stati usati da Greg Armstrong, presidente ed amministratore delegato della compagnia. L’ad era arrivato in California direttamente dal Texas per tenere un’imbarazzata e dolorosa conferenza stampa.

La macchia nel mare

Il primo a dare la notizia del disastro è stato il Los Angeles Times online che ha riportato di una macchia di petrolio larga 50 metri e lunga quasi 6 chilometri; proporzioni sufficienti per colpire le spiagge di Goleta Beach e Refugio State Beach. Le cause che hanno portato alla rottura delle condutture non sono ancora state accertate e si spera possano esserlo a breve. Jerry Brown, governatore della Calfornia, ha dichiarato lo stato di emergenza per la contea di Santa Barbara e Richard Abrams, responsabile delle emergenze, ha mobilitato la guardia costiera e il dipartimento per la salvaguardia di pesca e fauna della zona, per monitorare le operazioni di pulizia. Una forza ulteriore di circa 300 persone starebbe aumentando il regolare numero di lavoratori solitamente impiegato nella zona, compresi i membri della California Conservation Corps. È la seconda volta che avviene un disastro di queste proporzioni in california e anche in precedenza la zona colpita era stata la costa di Santa Barbara. Nel 1969 la macchia di petrolio che si era riversata in quella parte dell’oceano era di oltre 300.000 litri ed era stato il più grosso disastro ambientale della storia americana fino a quel momento.

Da allora altri disastri, che hanno finito per indurire la percezione dei rischi ambientale degli americani. Dal ’69 ad oggi la coscienza ambientalista si è rafforzata e più di tutto ha preso forma declinandosi in una prassi propositiva che è passata dal dire no all’uso del petrolio e di altre fonti di energia sporche e potenzialmente (e a quanto pare anche praticamente) pericolose, all’invocare l’utilizzo di energia alternativa e pulita. In questo momento in California e non solo lì ci si domanda quanto ancora si dovrà aspettare per un cambio di investimenti energetici, per i quali ci sono tutte le condizioni potenzialmente favorevoli.

Cambio di investimenti

Da tempo l’assolata California ha un problema di siccità non più trascurabile che porterebbe direttamente, come effetto collaterale positivo, verso la scelta di uno sviluppo energetico solare, non solo come fenomeno di eccellenza ma come prassi sistematica.

Nella percezione collettiva il petrolio è ormai considerato un agente nemico: quello cercato all’estero porta a guerre decennali e quello estratto in America a disastri per la popolazione e l’ambiente. L’oleodotto della Plains All American Pipeline era stato costruito con il proposito di trasportare 150.000 barili al giorno, nel 1991: un’altra epoca. Oggi la costruzione degli oleodotti viene osteggiata dal basso, organizzazioni ambientaliste e cittadini si mobilitano per fare in modo che questi disastri, bene o male annunciati, non si ripetano.

Ma non è il solo aspetto rilevante, perché questa enorme macchia di petrolio si è riversata sulla costa della California, durante l’amministrazione Obama, che pure si è dimostrata attenta alle questioni climatiche ed ambientali. Poche ore prima dell’incidente Barack Obama era in Connecticut, alla Us Coast Guard Academy, e si stava rivolgendo ai laureandi invitandoli ad agire sull’ambiente come priorità assoluta.

Le preoccupazioni di Obama

«Il cambiamento climatico rappresenta una seria minaccia alla sicurezza globale, un’immediata minaccia alla nostra sicurezza nazionale» aveva affermato Obama paragonando il rischio ambientale a quello «terroristico», per il grado di pericolosità potenziale ed effettivo. «Dobbiamo agire e dobbiamo farlo ora. Negare o rifiutare di affrontare il tema mette in pericolo la nostra sicurezza nazionale e la prontezza delle nostre forze armate».

Obama pronunciava queste parole poche ore prima di conoscere il disastro, ma non è di certo la prima volta che il presidente degli Stati Uniti rimarca il concetto di emergenza riguardo ai problemi ambientali e non sembra che parte della sua amministrazione voglia lasciarlo solo in questa battaglia. Dopo l’uragano Sandy, Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York aveva dichiarato che dire «mai più» sarebbe stato fuori luogo «Non è epoca di “mai più”, – aveva detto Cuomo – ora resta solo di domandarci quando un altro uragano ci colpirà di nuovo. Il danno è fatto, il cambiamento climatico è una realtà contemporanea, ora abbiamo solo il dovere di far fronte e cercare di rimediare ai danni giá compiuti». Sembrerebbe la situazione ideale, visto che nello stesso momento coesistono una volontà sociale ed una politica ad agire nella stessa direzione, ma bisognerà fare i conti con un terzo pesantissimo convitato: quello delle multinazionali del petrolio che non sembrano pronte ad abbracciare un nuovo business di energia alternativa. Proprio in questi giorni si parla della costruzione di una nuova piattaforma sulle coste dell’Alaska e la sua approvazione o meno riguarderà questa amministrazione.

Braccio di ferro

Si tratta di un braccio di ferro annunciato in un periodo pre elettorale che fin da ora vede schierati repubblicani e democratici su posizioni opposte riguardo ambiente e sfruttamento delle risorse. Uno dei candidati alla presidenza, il texano Jeb Bush, proviene da una famiglia che è nell’industria del petrolio fin dagli anni ’50 e che nel giorno del disastro californiano ha dichiarato: «Il fatto che il clima della Terra stia cambiando è vero ma la ricerca scientifica non mostra chiaramente che questa variazione sia dovuta alle scelte dell’uomo e quanto invece sia per cause naturali. Affermare che sia per cause umane è semplice arroganza».