La Exxon Mobil è una delle più importanti compagnie petrolifere nordamericane a livello mondiale, che agisce nel mercato europeo con il marchio Esso e fattura ogni anno circa 420 mila milioni di dollari. In forma diretta o indiretta è presente in tutta l’America latina, principalmente in Argentina, Brasile, Colombia e Messico.

Si dedica all’esplorazione, alla produzione, al trasporto, alla raffinazione, distribuzione e commercio di petrolio crudo, gas e suoi derivati. Inoltre, partecipa al mercato dell’energia elettrica e a quello della fabbricazione di prodotti chimici, plastici e fertilizzanti. In Argentina, la compagnia texana fa grandi affari nella zona estrattiva di Vaca muerta con il petrolio di scisto.

Uno spettro che ora si amplia, visti gli orientamenti neoliberisti del presidente Macri, amico di vecchia data di Trump, e la cura che pone nello spalancare ulteriormente le porte alle grandi imprese estrattive e nel chiuderle ai lavoratori.

IL SENATORE repubblicano John McCain – non proprio un cherubino – ha definito l’amministratore delegato della compagnia, Rex Tillerson, nominato da Trump Segretario di stato della nuova amministrazione «un criminale, un bullo e un assassino»: soprattutto per la sua storica amicizia con Igor Sechin, l’uomo più potente dopo Putin in Russia.

Gli ambientalisti e le sinistre latinoamericane hanno invece ragioni più nobili per temere lo strapotere della multinazionale e le sue tracce mortifere nel continente.

L’ANNO SCORSO, Exxon Mobil ha ricevuto persino la Medaglia Croce Verde per la sicurezza, che viene attribuita alle imprese che ottemperano ai più alti standard di sicurezza per i propri impiegati. Gli investimenti di capitale per un’azienda simile sono giganteschi, evidentemente anche per curare la propria immagine. Solo nel primo trimestre di quest’anno, la compagnia ha investito 18 miliardi e 236 milioni di dollari.

Gli affari della Exxon Mobil, interessata ad approfittare del debito dell’impresa petrolifera di Stato, Petrobras, ora hanno campo libero anche in Brasile, dove il governo Temer sta procedendo a spron battuto verso le privatizzazioni delle imprese pubbliche. ExxonMobil è una delle imprese più grandi della Colombia, con un fatturato che, già nel 2014, la situava tra le 15 compagnie più grandi del paese.

AI GOVERNI che non ci stanno, Exxon Mobil fa la guerra, fidando anche sui tribunali di arbitraggio, tutti basati negli Usa. Come Ceo, Rex Tillerson si è scontrato con l’ex presidente venezuelano Hugo Chavez, che decise di espropriare una ventina di società petrolifere straniere, proponendo però una «compensazione». La Exxon non accettò e iniziò una battaglia legale, che dura ancora. A un certo punto, ottenne anche il congelamento degli attivi all’estero dell’impresa petrolifera dello stato venezuelano, Pdvsa.

IL VENEZUELA, dopo l’Argentina (quando era governata da Cristina Kirchner), è il secondo paese al mondo che ha più procedimenti aperti nei tribunali di arbitraggio per gli espropri e le nazionalizzazioni, decise tra il 2007 e il 2012: in totale, 38.
Durante l’amministrazione Chavez (1999-2013) le multinazionali hanno depositato 37 domande miliardarie presso il Ciadi, l’organismo della Banca mondiale creato nel 1996 per risolvere le controversie relative agli investimenti stranieri. Durante la Quarta repubblica, lo stato venezuelano era stato denunciato al Ciadi una sola volta: dall’impresa Fedax, nel ’96.

IL MAGGIOR numero di processi contro il governo bolivariano (55,3%) è intentato dalle multinazionali del petrolio, fra cui spicca Exxon Mobil. La compagnia Usa non ha accettato la legge venezuelana che, oltre a imporre il rispetto dei lavoratori e dell’ambiente, subordina lo sfruttamento dei giacimenti a un sistema di imprese miste, in cui Pdvsa è maggioritaria.

Durante il governo di Nicolas Maduro, eletto dopo la morte di Chavez, è esploso il caso della Guyana Esequibo, che ha visto al centro la multinazionale di Tillerson. Con la vittoria della destra in Guyana, Exxon Mobil ha deciso di iniziare le perforazioni nell’Esequibo, una zona di 160.000 kmq, ricca di risorse, specialmente petrolifere e frontaliera con la Guyana.

Una zona contesa dal Venezuela che ne rivendica la sovranità dal 1897. Attualmente, la controversia è affidata al Segretario generale delle Nazioni unite, secondo quanto stabilito dall’Accordo di Ginevra.

Errata corrige

Nella versione dell’articolo pubblicato in edicola, veniva attribuito erroneamente il gigantesco disastro ambientale del 2010 nel Golfo del Messico a una piattaforma Exxon, quando invece si è trattato di un impianto gestito dalla britannica BP. Ci scusiamo con i lettori.